Synecdoche, new york

Creato il 05 agosto 2014 da Ussy77 @xunpugnodifilm

Personale, complesso, ardito. Kaufman e la sua prima opera da regista

Pellicola complessa, visionaria e affascinante, Synecdoche, New York (datato 2008) è il primo film diretto da Chalie Kaufman, lo sceneggiatore di Essere John Malkovich e Se mi lasci ti cancello.

Caden Cotard è un regista teatrale che sta mettendo in scena un nuovo spettacolo. La moglie Adele (pittrice) lo lascia per proseguire la carriera a Berlino, portandosi appresso la figlia Olive. La relazione con Hazel dura poco e a Caden viene diagnosticata una misteriosa malattia. Ossessionato dal timore di morire decide di riunire un gruppo di attori per mettere in scena la sua vita in un enorme spazio coperto, nel quale vengono riprodotti i luoghi da lui frequentati.

Tantissimi temi per un prodotto personale, estremamente complesso e pregno di metafore. E tutto è perfettamente in filo con lo stile di Kaufman, che in Synecdoche, New York si interroga sulla vita, sulla depressione, sulla solitudine, sul rapporto con la morte e con il corpo, sulla schizofrenia e la ripetitiva ossessione. Il regista costruisce un film che è il suo doppio e il suo trino, che ripete se stesso all’infinito senza trovare una conclusione soddisfacente. E tutto ciò è immerso in un’ostentazione visionaria, un virtuosismo stilistico che fa perdere e ritrovare costantemente lo spettatore. Perché se la prima parte della pellicola appare lineare, quasi banalmente convenzionale, nella seconda Kaufman comincia a ripetere ossessivamente la vita di Caden, sul palcoscenico e fuori dal palcoscenico. Synecdoche, New York diviene teatro della vita, con tutte le sue contraddizioni e perversioni. E la vita di Caden diviene il metro di giudizio ideale per interrogarsi sull’esistenza. Un regista teatrale che prova a raccontare la sua vita in modo opprimente non trova le necessarie risposte alle sue domande esistenziali. E mentre il corpo si degrada, anche la pellicola comincia a “deteriorarsi”, facendosi sempre più criptica, filosofica ed enigmatica.

Kaufman realizza un prodotto personale, coerente con il suo approccio al cinema e alle vicende da lui scritte, ma forse eccessivamente auto-referenziale; un prodotto che spiazza lo spettatore, che lo ingurgita in un labirinto senza via d’uscita, ma dalla sicura attrattiva. E la riuscita di una pellicola così anticonvenzionale è sicuramente frutto dell’intensa interpretazione di Seymour-Hoffman, alle prese con un personaggio indolente, indeciso e insicuro, che tenta di rispondere ai perché dell’esistenza attraverso l’unico linguaggio (quello fittizio del teatro) che conosce e comprende.

Film dall’arduo approccio e dalla filosofia imperante, Synecdoche, New York è magnetico e accattivante, ma non trova la giusta via per farsi comprendere a fondo da un pubblico che può rimanere interdetto da una costruzione narrativa a tratti delirante e ripetitiva.

Uscita al cinema: ***


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