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Synecdoche New York: l’omaggio più bello a Philip Seymour Hoffman

Creato il 19 giugno 2014 da Oggialcinemanet @oggialcinema

Quando uno sceneggiatore di talento decide di dirigere lui stesso un film, non è detto che le cose vadano per il verso giusto. Non è questo il caso di Charlie Kaufman, uno dei migliori sceneggiatori in circolazione, autore degli script dei film di Michel Gondry (Human Nature, Se mi lasci ti cancello) e Spike Jonze (Essere John Malkovich, Il ladro di orchidee). Il suo esordio alla regia, Synecdoche New York, conferma tutte le qualità che hanno da sempre contraddistinto la sua scrittura: l’estro, il vuoto esistenziale e il confine tra realtà e finzione. La presenza poi, in veste di protagonista, di un attore come Philip Seymour Hoffman, la cui prematura scomparsa facciamo ancora fatica ad accettare, è un valore aggiunto non indifferente.

Hoffman saluta il pubblico italiano in quest’opera postuma che pur essendo uscita nel 2008 negli Stati Uniti, sarà disponibile nelle nostre sale, dopo l’anteprima nazionale al Festival di Taormina, solo a partire dal 19 giugno. Quasi come se fosse addirittura necessario morire per ottenere la giusta attenzione ed essere distribuiti in Italia! Se tuttavia esiste un modo di dirgli addio allora questo film è sicuramente il più bello. Un film profetico (il protagonista è ossessionato dall’idea della morte imminente) in cui, come ha confessato il regista attraverso le pagine de Il Corriere della Sera, “sono presenti tutte le ossessioni e le paure di Philip, che era un esploratore dell’ambiguità umana.” Un testamento artistico dunque quello di Hoffman da vedere e rivedere per riuscire a penetrare tutti i segreti e le emozioni che contiene: la solitudine, l’isolamento ed un forte senso di sofferenza d’amore, di morte e di separazione.

synecdochenewyork
Il titolo è di per sé molto indicativo poiché frutto di un gioco di parole fra Schenectady, New York, dove il film è ambientato e la sineddoche, ovvero quella figura retorica che consiste nella sostituzione di un termine con un altro che ha con il primo una relazione di vicinanza. E’ quello che fa Caden (Philip Seymour Hoffman), protagonista del racconto di Kaufman, un regista di teatro, depresso, che conduce una vita infelice con la moglie Adele, pittrice (Catherine Keener). I due vanno in terapia di coppia dove la moglie confessa di desiderare la sua morte e le cose continuano a peggiorare quando Adele, con la scusa di un viaggio di lavoro, decide di partire da sola con la figlia e non torna più. Diverse donne entreranno a far parte della vita di Caden, la sua amante Maria (Jennifer Jason Leigh), l’addetta al botteghino Hazel (Samantha Morton) e la sua seconda moglie, l’attrice Alice (Michelle Williams) ma Caden non è presente a se stesso, è malato.

La sua crisi non è infatti solamente legata all’ambito familiare ma anche artistico poiché dopo aver messo in scena Morte di un commesso viaggiatore, riceve un’ ingente somma di denaro per realizzare il suo capolavoro. Un’opera dunque pretenziosa, maestosa e assoluta che disegna la vera e propria via crucis psicologica di Caden, dove è presente tutto il tormento esistenziale del regista e del suo eccellente interprete. La fotografia di Frederick Elmes (La mente che cancella) e la musica di Jon Brion sono funzionali a questa grande costruzione perfettamente creata da Kaufman, il nuovo regista postmoderno per eccellenza. Il tempo assume un ruolo strategico poiché ha un andamento irregolare che rende sempre più difficile distinguere il sottile filo tra realtà e finzione (le persone cambiano, invecchiano e muoiono da un momento all’altro, all’improvviso). Un film dunque lacerante, visionario e sofisticato a cui non si può veramente resistere.

di Rosa Maiuccaro per Oggialcinema.net


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