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Creato il 31 gennaio 2010 da Indian

Lezioni condivise 38 -  “Sulla tirannide

Il giudizio sul Machiavelli (che tratto quale oggetto di studio e non da entusiasta del soggetto) nel corso del tempo è stato piuttosto controverso. Dai detrattori più estremi, con accuse di immoralità, crudeltà, disumanità, fino a coloro che hanno addirittura visto il “Principe” come un’opera, che mostrando la spietatezza della dittatura, in realtà la disprezza e ne rappresenta addirittura una visione satirica.

Proviamo a conoscere il personaggio, il suo ambiente, la sua storia, per quello che è, oggettivamente.

Firenze, dopo la scomparsa di Lorenzo il Magnifico (1492) e la breve successione del figlio Piero, visse la cacciata dei Medici (1494) e l’instaurarsi di un nuovo ordinamento repubblicano con la chiamata del carismatico fra Gerolamo Savonarola, autore del libro “Sulla tirannide” contro il potere mediceo. Egli, ben voluto dal popolo cui aveva dato voce, cadde soprattutto per volere del papa Alessandro VI (Borgia), che lo scomunicò e ne favorì la condanna al rogo.

Caduto il frate, Firenze mantenne tuttavia gli ordinamenti da lui voluti, la sua tradizione comunale e repubblicana, una sorta di  umanesimo civile, che non si sviluppò a corte, ma nella società.

Machiavelli divenne segretario della Repubblica fiorentina solo qualche giorno dopo la caduta del Savonarola, del quale, a lungo andare, dovette riconoscere alcuni meriti, anche se per conclusioni completamente opposte.

Nel cap. 18, libro primo dei “Discorsi sopra la prima Deca di Tito Livio”, interrotti per iniziare “Il Principe”, egli tratta “In che modo nelle città corrotte si potesse mantenere uno stato libero, essendovi; o, non vi essendo, ordinarvelo” e conclude che non è possibile senza il ricorso a un “principe”.  

I Medici stessi – sostiene – dovettero tenere un regime fintamente repubblicano, con la signoria, il consiglio dei settanta e via dicendo, ma sotto il loro controllo. Il sistema di elezione, sorteggio dei candidati prevalentemente scelti per censo, avveniva in modo pilotato. Inoltre, la veloce rotazione delle cariche (non più di un paio di mesi) non consentiva che alcun cittadino potesse acquisire alcun potere, che restava tutto in mano ai Medici.

La signoria di Lorenzo funzionò per il suo prestigio e per la sua abilità (si comportava come primus inter pares), non fu così per il figlio Piero, troppo arrogante e impreparato. Quando nel 1494 scese Carlo VIII, egli si arrese senza condizioni, mettendogli praticamente in mano l’intera Toscana, causando la reazione delle città e della stessa Firenze, fino alla cacciata dei Medici a furor di popolo.

Nella nuova situazione gli Ottimati (nobili, benestanti) cercarono di prendere il sopravvento. Essi proposero un consiglio di 500 persone. Si sviluppò un largo dibattito sul modello di governo da adottare. Ci fu perfino un principio di guerra civile. Infine entrò in gioco Savonarola, che si giovava del sostegno popolare e di qualche intellettuale (es.: Pico della Mirandola).

Savonarola accostò la figura del buon cristiano a quella del buon cittadino, insieme a una concezione pauperistica, contro peccato, lusso, ricchezze. Spinse Firenze verso la moralizzazione come se stesse attuando una missione. Partendo da principi comunemente ritenuti conservatori (San Tommaso), pervenne a risultati rivoluzionari, che allarmarono sia il papato, sia la nobiltà fiorentina. Benché, come Dante, ritenesse che il miglior governo fosse quello monarchico, in quanto rispecchiava quello del regno dei cieli (reductio ad unum) e a condizione che il sovrano non fosse un tiranno, pensava anche che la monarchia fosse congeniale ai popoli servili e non a quelli maturi; così blandiva Firenze, che riteneva matura per la repubblica, per l’uguaglianza, per la partecipazione e non avesse ad esempio bisogno della difesa mercenaria delle compagnie di ventura; dalla partecipazione sarebbe scaturita anche la difesa diretta.

In seguito alla predica del 18 dicembre 1494 – “Pertanto ti bisogna fare legge, che nessuno possa più farsi capo in Firenze, né dominare gli altri” – scrisse la nuova costituzione fiorentina, ma non la vide applicata perché fu arso vivo prima. Eppure Guicciardini, storico anticlericale, ha sostenuto che fu grazie alle riforme di Savonarola se Firenze poté resistere per ben dieci mesi, con il proprio esercito guidato da Francesco Ferrucci, contro l’assedio portato nel 1529 da Carlo V. Anche Machiavelli dovette riconoscere a Savonarola di aver introdotto ordini nuovi (repubblica, antimercenariato…), tant’è che le sue riforme gli sopravvissero.

A Savonarola è dovuto il Consiglio maggiore (1494), ordinamento mutuato della Repubblica veneziana (doge – presidente – consiglio minore [signoria] e consiglio maggiore [popolo]), un governo misto basato su reciproci controlli, per porre fine agli abusi del potere familiare di cui i Medici furono un esempio. Veniva superata la vecchia distinzione comunale tra popolo minuto, popolo grasso e magnati.

Il Consiglio maggiore era costituito dai cittadini contribuenti maggiori di 29 anni. Quando il numero dei beneficiati era eccessivo (sopra i 1500), essi si alternavano in tre tornate (sterzati). Nel 1495 i beneficiati superarono le 3000 unità.

Il sistema era comunque complesso. I poveri non facevano parte del governo, la dizione popolare si riferiva unicamente al terzo stato; tuttavia vi erano 60 eletti senza beneficio e un certo numero sotto i 29 anni.

Il consiglio maggiore votava le leggi, specie quelle tributarie e per l’elezione dei membri dell’esecutivo. La Signoria proponeva le leggi e il consiglio maggiore le approvava o le rigettava, non le discuteva. Solo se venivano ripresentate, un membro della Signoria e uno del Consiglio maggiore potevano parlare a favore o contro, e si rivotava.

Vi erano anche delle incompatibilità relative al cumulo delle cariche. Si procedeva per sorteggio dei designati in quanto il voto privilegiava le persone note e/o dello stesso rione; vi era un certo numero di rappresentanti per ogni quartiere.

Il Gonfaloniere era il rappresentante della repubblica. Esistevano poi delle particolari magistrature come quella dei dieci di Balia (o della Guerra), una sorta di ministero degli esteri che curava alleanze, assoldava mercenari, decideva sulle guerre. Anch’essi erano inseriti in un sistema di controllo. Gli otto di guardia sovrintendevano invece alle cause criminali e di polizia. Gli Ufficiali del monte (di pietà) si occupavano dell’amministrazione tributaria… e via dicendo.

Le rotazione delle cariche (di solito due mesi) venne mantenuta, perché ci fosse più partecipazione, per consentire ai cittadini di accudire anche ai propri interessi (in quanto erano gratuite), per evitare scompensi al sistema, cioè che qualcuno prendesse il soppravvento.

Nelle sue analisi e teorizzazioni sui governi, Machiavelli si rifà all’esperienza antica, soprattutto romana, che esalta l’ instrumentum regni. Egli assimila attraverso la lettura questa esperienza, facendola propria. La trova in Livio, ma anche nel libro sesto di Polibio [la monarchia produce tirannia, da cui attraverso la rivolta si giunge al governo popolare che infine sconfina nella demagogia e nell’oligarchia – ottimati – ove infine si afferma un leader, quindi si ha di nuovo la monarchia o la dittatura], nel quale la formulazione apertamente strumentale dell’uso politico della religione come forte ed efficace regolatore sociale è netta; adottata dallo stesso Cesare, che si fece eleggere pontefice massimo.

Nel 1502, Soderini, amico di Machiavelli e del popolo, in contrasto con gli aristocratici, venne nominato gonfaloniere a vita; ciò rappresentò una sorta di compromesso, tra il governo di uno solo e la democrazia.

Fu un periodo in cui nei vari quartieri si indicevano assemblee, dette pratiche o consulte (strette se realizzate con dei delegati, larghe se aperte a tutti), per discutere dei problemi esistenti. Di esse venivano stesi i verbali, alcuni dei quali firmati dallo stesso Machiavelli. Si tratta di importanti documenti perché da essi emergono le idee dei fiorentini sulla politica del tempo.

Insomma in qualche modo Savonarola continuò a incidere, al di là delle teorie.

(Letteratura italiana I – 19.4.1996) MP

 


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