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Tablocan (Isola di Leyte/arcipelago delle Filippine)= Imparare a condividere le sofferenze altrui

Creato il 20 gennaio 2015 da Marianna06

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Tablocan richiama alla memoria l’onda apportatrice di morte e di devastazioni del novembre del 2013.

E qui, in questo stesso luogo, atterrato come da programma , un po’ affaticato ma accogliente come sempre, Papa Francesco, incurante del maltempo, che ha messo in allerta i responsabili della sua sicurezza, ha celebrato, sotto una pioggia battente, in uno spiazzo nei pressi dell’aeroporto.

E sono accorsi in tantissimi (circa trecentomila per difetto), anche dalle località più distanti, ad ascoltare la sua parola e a condividere assieme  a lui il “memoriale”eucaristico.

E tutti lieti di potersi stringere, sia pure per un  tempo limitato, intorno al Papa che i filippini  sentono realmente quale padre e fratello nella fede.

Quella fede che, anche nelle avversità ,come è accaduto e continua ad accadere periodicamente in  terre messe  spesso a dura prova dai capricci della natura, nonché   dall’incuria degli uomini, non fa mai  dimenticare la speranza.

E non una speranza edulcorata, come siamo abituati a percepirla comunemente, bensì fatta d’impegno e di fratellanza sincera. Che non  lascia a piangersi addosso quanto piuttosto incentiva a rimboccarsi le maniche e a fare.

Un fare  protetto dall’amore di Dio Padre e da quello del Figlio, il quale ci ha affidato da sempre alla protezione della Madre Maria, cui Papa Bergoglio, proprio durante l’Eucaristia a Tablocan,  subito dopo la Comunione,  rivolge una bella e commossa preghiera spontanea.

Questo  la dice chiarissima sul sentire delle genti delle Filippine quando, intervistati, alcuni di loro precisano a chi domanda che il Papa “venuto da lontano” dimostra in parole e con i fatti la sua vicinanza affettiva ai sofferenti. E che essi ciò, sia come sia, l’avvertono a pelle.

E’ in realtà, per capirsi, quell’empatia che viene a crearsi e che scaturisce dalla spontaneità di un sentire reciproco basato su lontane e comuni radici cristiane.

Che sono poi quelle che si cementano in ciascuno a partire dalla prima infanzia. E per le quali la famiglia unita gioca un ruolo fondamentale

Nell’omelia Papa Francesco, dinanzi a tanta sofferenza più che visibile (molti piangevano), non ha potuto dire altro, a quelli che hanno perso persone care, familiari, casa, lavoro, che l’unica  possibile risposta dinanzi a  tragedie di tale portata è solo il silenzio.

 Non certo un silenzio assenza. Ma un silenzio condiviso. Perché il Signore non ci lascia mai soli, anche quando sembrerebbe all’apparenza il contrario.

“Gesù - dice il papa- è il Signore. Lui ci comprende. Perché nel suo farsi uomo come noi ha vissuto nella sua carne le stesse nostre sofferenze. Lui sa di noi. Di ognuno di noi”.

Il Papa, lasciando la folla,che avrebbe voluto averlo ancora a lungo con sé, e trattenersi magari ad ascoltarlo nella sede dell’arcidiocesi a Palo, non manca di spiegare con poche semplici frasi il senso riposto che è stato quest’ incontro per lui.

L’ascoltare nel silenzio rispettoso e condiviso le sofferenze degli altri ha significato e significa- ha detto Papa Francesco - comprendere, ancora una volta, che la  credibilità del messaggio (il messaggio di Cristo ) è efficace nella misura in cui non si pongano tra le parti in ascolto distanze di privilegio.

E anche noi , com’è ovvio, occorre che lo teniamo a mente per rendere credibile, a qualunque latitudine, nel vicino e nel lontano, la nostra testimonianza.

 

         Marianna Micheluzzi (Ukundimana)

 


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