L'inequivocabile sensazione di essere di fronte ad un'opera d'arte che ci parla con un linguaggio misterioso, che ci trasporta in un luogo che è stato un ricordo prima di diventare un'immagine, qualcosa di prezioso rimasto sulla retina della nostra memoria e che riscopriamo con stupore e meraviglia.
Quelle sorprese che verso la fine dell'anno non ti aspetti, quelle cose che dici, vabbé, vedrò ancora quei quattro-cinque film per tirare a campare fino a che Dicembre sia concluso e poi ti rendi conto che avevi voglia di tutt'altro. Di questo, anche se questo non sai bene che cosa sia, almeno finché non ti siedi nel buio di un cinema e non ti metti a guardare Tabu, del portoghese Miguel Gomes. E allora ti siedi comoda e inizi a respirare diversamente, perché l'occasione lo richiede. L'occasione è delle più solenni.
Il cinema, signore e signori, non è affatto morto, ma è vivo, vivissimo.
E lotta insieme a noi.
Gianluca, Aurora e il Monte Tabu
Lisbona, ultimi giorni del 2010. Pilar, una donna di mezza età che vive sola, va in aiuto di una vicina di casa, Dona Aurora, un'anziana signora che, abbandonata dall'unica figlia, è accudita dalla badante (Santa, di nome e di fatto, una donnona di Capo Verde). Aurora si è giocata tutti gli ultimi risparmi al Casinò di Estoril e con la testa ci sta un po' poco: la notte di capodanno si sente male e all'ospedale, morente, lascia il nome e l'indirizzo di un uomo sconosciuto, chiedendo di andarlo a chiamare. Pilar va allora a cercare l'uomo: si chiama Gianluca Ventura, è un portoghese di origini italiane (genovesi, per la precisione), e sarà lui a raccontare a Pilar e Santa, davanti ad un caffé in un centro commerciale, la bruciante storia d'amore che, in gioventù, lui ed Aurora hanno avuto in Mozambico (anche se il paese nel film non è mai specificato), ai piedi del monte Tabu.Aurora (Ana Moreira) e Gianluca (Carloto Cotta)
Diviso in due parti: “Paradiso Perduto” e “Paradiso”, girate rispettivamente in 35 e 16 mm, in un sontuoso bianco & nero, Tabu è un film che a mezz’ora dall’inizio compie una scelta stilistica che definire azzardata è dire poco. Quando Ventura inizia a spiegare la sua storia con Aurora, e da Lisbona si passa all’Africa, la pellicola si trasforma infatti in un film raccontato. Ovvero: la voce di Ventura narra passo dopo passo quello che è successo, e noi vediamo scorrere in parallelo le immagini, ma i dialoghi non si sentono. Restano solo i suoni della natura e la musica (quando c’è). In pratica, è un film muto con una voce narrante anziché con gli intermezzi scritti come accadeva agli albori del cinema.The Mario's Band
Dopo un primo momento di spaesamento, si viene travolti da una sensazione di pura felicità. Ci si rende conto che la mancanza di dialoghi rende tutto più intenso e speciale. All’improvviso, si sta più attenti alla voce di Ventura (dai titoli di coda, tra l’altro, ho capito che in realtà è quella del regista!), a quanto racconta (ah, la bellezza straordinaria della lingua portoghese in generale e di questi testi in particolare!), a dove ci vuole portare. E le immagini, come se prendessero nuova vita, ci rivelano dettagli e sfumature rimaste nell’ombra. Così il gioco di sguardi tra il giovane Gianluca ed Aurora, la prima volta che si incontrano, sono di una tale evidenza che ci si stupisce che nessuno degli altri se ne renda conto. E le parole delle lettere che si scambiano i due amanti diventano più forti, uniche ed importanti. E’ come se l’occhio si abituasse a poco a poco ad un linguaggio sconosciuto, e per capirlo meglio non si possa far altro che lasciarsi trascinare dalla corrente, ed essere travolti insieme ai protagonisti dall’intensità della loro passione.Aurora (Ana Moreira)
Dandy, il coccodrillo di Aurora
Tabu è un film, per ammissione dello stesso regista, sulle cose scomparse: una persona che muore, una società che non c’è più, un’intera epoca che non può che esistere nella memoria di chi l’ha vissuta. Di questa malinconia, di questo senso di cose perdute, è impregnata tutta la pellicola. C’è spazio per cose profonde e profondamente tristi, in questo film: la solitudine, l’infelicità, e il dolore per un amore che non si può vivere, eppure su tutto sembra posarsi la leggerezza della luce africana, di questi volti senza parole, delle vecchie canzoni cantate dalla Mario's Band, di questi attimi di felicità assoluta e transitoria. Rimaniamo lì anche noi a fissare le immagini, e a chiederci dove abbiamo già conosciuto tutto questo, sperando di poterlo rivivere. Il nostro paradiso perduto.