Piero Mazzarella ne La Tempesta di Tadini al Teatro Parenti di Milano
Spazio Tadini Casa Museo di Milano diretta da Francesco Tadini e Melina Scalise – e sede dell’archivio Tadini – propone le pagine (8-9) de La tempesta di Emilio Tadini. (>LINK per consultare le altre parti). (…) L’intuizione, come no? Un corso, mi aveva tenuto, sull’intuizione, nel bar di fronte, da dove si sorvegliava la villetta, la casa assediata di Prospero – non sapevo bene se quella stessa mattina o qualche anno fa. Il poliziotto ferito stava lamentandosi, lungo disteso sui tavolini accostati e tutti avevano continuato a urlare finché si era sentita la sirena dell’ambulanza – ma lui, il commissario… Giù che parlava melodioso, lui!
– Capisce, il mio mestiere… Il nostro non è e non può essere un mestiere scientifico. Mi fanno ridere, certi novellini. Arrivano dalla Scuola di Polizia con la testa piena di numeri – statistiche, estrapolazioni, previsioni… Credono di sapere tutto, di avere in mano la chiave che apre tutte le porte. E poi… Poi sbattono il naso contro il muro. Ma lo sanno, che cos’è una passione? Neanche per idea. Sui loro manuali non se ne parla. >
Spazio Tadini
«Eppure, vede, con una pura e semplice intuizione, io, stamattina… Sapevo il rischio che stavamo correndo, eppure… Lei, vede, mi ispirava fiducia. Forse perché è un giornalista atipico. Che cosa posso dire? La sua calma… In fondo, ero sicuro che il nostro uomo, qua dentro, lui e il suo demonio, non le avrebbero torto un capello. È vero, mi avevano ferito a fucilate un agente, un paio d’ore prima. Ma con lei, me lo sentivo, si sarebbero comportati in modo diverso. Solo aspettare, dovevo.
«Avrei potuto trattenerla e l’ho lasciata andare. Una intuizione bella e buona – che le dicevo? Conoscenza per sentimento. O, se vuole – guardi che cosa arrivo a dirle, perché io non ho paura delle parole, sa… Con lei, poi, che è uomo di cultura… Se vuole, dicevo, l’intuizione metafìsica che ti porta nel cuore vivente della realtà.
Di quella realtà li, per dire. Tra la porta di un bar e una villetta con dentro un pazzo e un suo accolito nero come il carbone e armato di fucile.
« In – tu – i – zio – ne ! La qual cosa, comunque, ha funzionato. E, comunque, ha evitato qualche ferito e magari anche qualche morto.
« Sa che cosa volevano fare, i miei collaboratori – qui, loro, gli uomini di scienza, i fanatici del calcolo? Un bell’assalto. All’ultimo sangue. Bava alla bocca, guardi. Trasformati in tanti lupi. Regrediti, di colpo. Dalle formule matematiche all’ululato, al digrignare di denti. “Attacchiamo!”
«Ma adesso, bisogna che mi racconti tutto. Quel che le ha detto quel pazzo, quel che gli ha visto fare, qui, in questa casa, nelle ultime ore, diciamo, del suo regno.
« Si ricorda – non è vero? – al telefono… Insisteva, con la metafora della regalità. “Io, in casa mia, sono il re. Provateci, a buttarmi fuori dal mio regno!” Con il suo suddito, l’africano, sul terrazzo, che doveva ascoltarlo, perché ogni volta che Sua Maestà, al telefono, faceva una pausa, lui sparava un colpo in aria da quel fucile antidiluviano…»
Due in camice bianco erano entrati nella stanza. Portavano una barella.
Allora, commissario. Rimuoviamo?
Che cosa dice il medico legale? Se il medico legale è d’accordo…
Per me va bene, commissario.
Scendeva dal piano di sopra, il medico legale. Stringeva la borsa sotto il braccio, e intanto si asciugava le mani con un fazzoletto listato a lutto. Fatti suoi, evidentemente, defunti suoi. Ma il commissario mi aveva strizzato l’occhio.
Conciato com’è, signor commissario… Io, quello che potevo fare qui, l’ho fatto. Poi vedremo con l’autopsia…
Rimuovere, allora, rimuovere.
Io mi tenevo ai braccioli della poltrona, li stringevo. Un rumore, di sopra, di cose trascinate. Dolcissimo, il commissario.
Si sente male, per caso? Guardi che ne avrebbe tutto il diritto, dopo quello che ha passato. Si lasci andare.
Io? No, mi sento benissimo.
Soltanto qualche vertigine. E pieno di nausea fino all’orlo. Meglio di così…
Sulla scala, i due in camice bianco stentavano a portare giù la barella – il suo carico.
È troppo stretto. Aspetta. Ma no! Basta che tu la alzi un filo…
Avevano attraversato tutta l’anticamera, dalla scala alla porta. Sembrava che la barella fosse molto pesante.
Vuol bere qualcosa?
– No.- Poi avevo fatto segno con la testa dalla parte di quel trasporto e avevo detto: – Poveraccio… Era proprio matto. Cioè… Insomma… Voglio dire…
Come dice, mi scusi?
Io dire? Io balbettavo. Rintronato.
Così lo avevo visto andarsene. Portato via, coperto da un lenzuolo. Nevai, rilievi…
–