E’ così se ci fermiamo al numero di anziani, quindi ai dati circa l’evoluzione demografica, la loro nosografia, l’epidemiologia delle loro malattie ecc. Gli anziani effettivamente rappresentano il grosso dell’utenza del nostro servizio sanitario pubblico. Del resto non si scopre nulla di nuovo, con il passare degli anni ci si ammala di più. A pensarci su non ci si ammala tanto perché si è anziani quanto si è anziani perché ci si ammala di più. Così è la vita. Ma questo non ha nulla di eccezionale, è una legge di natura. Tuttavia la variabile di spesa più importante è legata agli scarti tra di ciò che chiedono gli anziani e ciò che ricevono. Gli anziani rappresentano soprattutto un altro genere di bisogni rispetto ai quali se l’offerta fosse davvero orientata alla domanda si dovrebbe mettere mano ad un cambiamento non marginale nel sistema. Nel momento in cui non si riesce a cambiare l’offerta, si dice che gli anziani sono un problema perché sono tanti. “Tanti anziani e poche risorse”. Si comprende che in questa situazione misure quali la riduzione massiccia dei posti letto se non accompagnate da una seria riconversione dei servizi, creano forme nuove di abbandono sociale. Non solo quindi si continua a rispondere ai bisogni dell’anziano con la logica impropria della ospedalizzazione, del ricovero e della degenza, in tutte le forme possibili (Rsa, residenze protette, non autosufficienza ecc), ma per ragioni di risparmio, questo genere di offerta viene contratto.
L’improprietà così diventa massima. L’anziano in ogni caso costerà non perché è anziano ma perché le risposte che avrà saranno inappropriate e inutilmente costose. Quindi il problema non è ospedale o Rsa, ma degenza o non degenza, ricovero o non ricovero. Il conflitto tra anziani e risorse non ha nulla di naturale ma è artificiosamente provocato dalle inadeguatezze delle risposte che coincidono con due profondi cambiamenti culturali e sociali:
- il paziente classico in ragione di una serie di cambiamenti sui quali sorvolo cambia il suo modo di essere e diventa “esigente”, cioè un soggetto attivo, consapevole dei suoi diritti.
- il paziente acuto diventa un malato complesso
Il guaio o la fortuna, dipende dai punti di vista, è che sia gli esigenti che i malati complessi tendono a ridiscutere l’idea tradizionale di cura e di tutela. La sanità ancora oggi è pensata, organizzata e finanziata prevalentemente sul paziente e sull’ammalato acuto, da questo scarto nascono tutti i principali problemi degli anziani. Che fare? L’idea più semplice e difficile allo stesso tempo, è dedurre dalla complessità paradigmatica dell’anziano (clinica, sociale, situazionale, economica, familiare ecc) una idea nuova di tutela. Cioè per l’anziano meglio sarebbe pensare ad una protezione socio-sanitaria che coincida prima di tutto con il suo luogo di vita proprio perché la sua complessità coincide con il luogo di vita. Non si tratta quindi di riservare spazi speciali agli anziani, o cure particolari in un sistema invariante, ma di riorientare il sistema sanitario nel suo complesso. Sul piano delle tutele ciò significa:
- ripensare radicalmente la medicina generale;
- predisporre percorsi terapeutici evolutivi, cioè cure che iniziano che continuano e che si concludono in una continuità
- organizzare un sistema di servizi interconnesso che va dalla casa del malato all’ospedale ad alta tecnologia
In conclusione l’anziano come paradigma di complessità etica-medica-economica-sociale, ha una forte esemplarità, cioè comprende in se tutti i tipi di complessità che si rivolgono alla sanità. Se fosse assunto come ripensamento avremmo tutti da guadagnarci, nel senso che diventerebbe il nuovo ideale regolativo della funzionalità e della organizzazione del sistema sanitario. L’anziano suo malgrado è un soggetto negato nel suo potenziale di cambiamento, costretto, dai limiti anche culturali delle politiche sanitarie dominanti, ad essere quello che non è, cioè un paziente e un malato acuto. Con questo paradosso prima o poi, bisognerà fare i conti.
di Ivan Cavicchi
Il fatto quotidiano
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