Il dramma maggiore che affligge l'uomo è proprio l'ineluttabilità dell'attuale, una realtà che esonda e sommerge l'idea illusoria di poter sfuggire a se stessi attraverso un qualsivoglia percorso evolutivo. Ma quale strada migliore della vita come anticamera della morte spinge l'uomo verso la sua più completa e irreversibile alienazione? E quale migliore senso di "sorpresa" sgorga nell'individuo che realizza finalmente di poter giungere ove i suoi pensieri non potranno mai posarsi? Apparentemente devastante, questa constatazione è il pungolo che ferendoci istante dopo istante, ci sospinge nella presa di coscienza di essere troppo potenti per la realtà che ci è data e troppo deboli per la sua trascendenza.
In questo limbo, l'uomo langue e si contorce sperando che quei vincoli tanto tenaci possano di colpo svanire lasciandolo sgomento di fronte alla possibilità fin a quel momento solo teorizzata. Ma una tale possibilità, di contro, è viva solo nella sua assenza dal firmamento mentale dell'uomo e muore definitivamente quando è tradotta a forza nel "paradiso" della potenzialità. Lì diviene un embrione di attuale e la sorpresa inizia a dipingersi dei toni lugubri del lutto inesorabile. Il cammino ha disvelato di nuovo la realtà: esso termina una volta raggiunta la destinazione; non prima, non dopo: esattamente in quel potenziale che, reificandosi, diviene attuale, ricandendo nello stesso terreno ove il ricercatore poggia i piedi.
Come un uccello, prima sagomato di quella celestiale capacità di sottrarsi alla pesantezza e adesso caduto morto ai nostri piedi, la tanto agognata potenza sulla realtà ha partorito i suoi figli, fatti della sua stessa essenza, e, facendo ciò, li ha "condannati a vivere" semplicemente perchè non possono fare altro.