Speciale: X-Men: 50 anni mutanti
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1.
Ci vorranno almeno altri quindici anni affinché il mondo si accorga di quanto uno ridotto come me possa essere mainstream, ma per il momento, si accorgono benissimo di me soltanto due categorie di persone: i bulli e gli sfigati.
Visto che agli occhi dei bulli vengo percepito come un irresistibile fuscello da spezzare, ho scelto di emarginarmi tra gli sfigati e chiuso nelle mie cuffiette evito anche loro (dopotutto, sono degli sfigati) trascorrendo le ricreazioni leggendo fumetti.
Se avete dei figli non fategli leggere fumetti.
O meglio, se vogliono farlo acconsentite, ma senza incentivarli troppo, spingeteli piuttosto verso quelle attività che li porteranno realmente a relazionarsi con gli altri ragazzi nell’età dello sviluppo, come il calcio, le salette e l’assunzione su base quotidiana di cannabis.
La lettura del fumetto è un’attività solitaria, una chiave d’evasione da un mondo colorato ma spento, ad uno, magari in bianco e nero, ma ricco di emozioni.
Uno scrigno di segreti da custodire e da non condividere con nessuno, mai.
La via del lettore di fumetti è la solitudine.
O almeno la pensavo così fino al giorno in cui, camminando verso la fermata dell’autobus, mi ritrovo davanti alla mia prima fumetteria.
E’ il 1992 e il solo fatto che possa esistere un luogo deputato esclusivamente alla vendita di fumetti mi fa sentire come Patrick Swayze dopo che qualcuno l’ha appena fatto fuori e lui non se n’è ancora accorto: davanti alle porte del paradiso.
Su di me c’è la luce divina dei Blues Brothers, parlo con la voce di John Lennon, percorro il sentiero di mattoni gialli ed entro in una Città di Smeraldo che sfoggia un tale quantitativo di ricchezze che la metà basterebbe.
Io leggo Zagor. Dylan Dog e Nathan Never. L’Uomo Ragno, i Fantastici Quattro e Devil.
Lì dentro trovo tutti gli arretrati di ognuna di queste serie, ma nelle mie tasche ho i soldi per comprare un solo albo.
Uno solo.
Zagor. Dylan Dog. Nathan Never. L’Uomo Ragno. I Fantastici Quattro. Devil.
Uno solo.
Prendo questo.
Pago. Esco dal negozio, corro a prendere l’autobus, mi siedo a metà. Lì dove non siedono i coatti. Lì dove non s’arrischiano gli sfigati.
E inizio a sfogliare il numero 29 de Gli Incredibili X-Men targato Star Comics: L’oscurità prima dell’alba.
2.
Non fu un inizio facile.
Capitai, per puro caso, esattamente a metà del mega evento “La caduta dei mutanti”. Al solo leggere questo titolo, i fan duri e puri cadranno vittime del più fragoroso degli orgasmi, ma sfido chiunque ad approcciare quelle storie in maniera del tutto vergine (con tutti i significati che questo termine comporta) senza aver prima letto nulla in merito.
L’incomprensibilità totale.
Per quanto il curatore della testata (non c’è bisogno che specifichi chi fosse, vero?) si faceva un mazzo tanto nel cercare di rendere accessibile la lettura anche ai neofiti, era difficile riuscire a spiegare che quella saga era il culmine di un processo narrativo avviato anni prima, che s’era dipanato, albo dopo albo, su storie pubblicate in Italia da editori diversi e in tempi diversi.
Era davvero arduo spiegare che le decine di personaggi presenti provenivano da testate differenti e che si trovavano tutti insieme a coesistere nello stesso universo narrativo.
Era poi del tutto impossibile spiegare che ognuno di quei singoli personaggi aveva alle sue spalle uno storico cesellato da minuziosi particolari, legati tra di loro da elementi piano a piano più visibili, e che il tutto era manovrato dal sommo burattinaio che, zitto, zitto, intesseva la tela di uno dei più grandi affreschi narrativi della storia dei comics e che, fedelmente, anche in quel caso, aveva sceneggiato l’albo in questione: Mr Chris Claremont.
Coadiuvato per l’occasione dai disegni di Marc Silvestri.
Fu una bomba.
A una prima lettura non capii nulla. Nulla.
A una seconda afferrai a grandi linee la trama. Alla terza era chiaro che dovevo recuperare tutto ciò che era uscito precedentemente.
Sia pubblicato dalla Star Comics che dalle altre case editrici.
Il mio era un piano certosino: avrei lavorato tutti i sabati in quel negozio e mi sarei fatto pagare in fumetti. Mancavano sei mesi alla fine della scuola. Ventiquattro sabati.
Potevo farcela.
3.
E’ il 1996. Io e Giovanni ci vediamo sempre in fumetteria usciti da scuola.
Abbiamo iniziato a pubblicare fumetti per una piccola casa editrice. Li scriviamo, pensa.
E’ una robina, ma ci fa sentire parte di un mondo che ritenevamo adibito alle divinità e questo ci inebria. In fumetteria ci salutano tutti e tutti ci sorridono.
Io non porto più gli occhiali, il mio corpo si è ingrossato, i bulli cercano la mia amicizia e ho la ragazza. Si chiama Sara.
Tutto bene, si direbbe, se non fosse che Claremont se n’è andato da un pezzo.
Luca Scatasta, nei suoi redazionali, ci aveva informati che la collaborazione di X-Chris con la testata, dopo sedici anni di onorato servizio, s’era interrotta con le storie pubblicate in Italia nel 1994.
Definitivamente? Lui non la pensava così e neanche io e Giovanni, che leggiamo le storie di Lobdell, Nicieza, Jim Lee e Portacio e non ci dicono molto.
Perché nel frattempo, i sedici anni di X-Men di Claremont ce li siamo letti tutti e sappiamo che si parla di un’epopea senza precedenti.
Gli X-Men di Claremont sono stati la nostra iniziazione epica.
Il nostro Signore degli Anelli.
La nostra bibbia.
Wolverine, Tempesta, Forge, Ciclope, Magneto, Xavier, Colosso, Rogue, Psyloche, Kitty, Longshot, Dazzler, sono stati i nostri santi, le nostre guide.
Modelli che, senza Claremont divennero presto orfani di padre, madre, testa e corpo.
Li dove Claremont aveva estratto dei caratteri partendo dagli archetipi, i suoi successori avrebbero invertito il processo riducendoli in stereotipi.
Lasciando, per altro, in ballo, tutta una serie infinita di sottotrame che, sapevamo tutti, presto o tardi, Claremont avrebbe fatto sapientemente esplodere.
“Ma tanto adesso Claremont torna”. E’ la frase che ci diciamo. Il mantra che ripetiamo.
“Tanto adesso Claremont torna. Appena gli scade il contratto con la DC.”
E allora giù a comprare Sovereign Seven perché, si dice, che lì stia portando avanti le trame che quel maledetto di Bob Harras non gli ha accettato per X-Men.
“Tanto adesso Claremont torna. Appena finisce di dedicarsi ai romanzi”
E allora via, compriamo anche First Flight.
“Tanto adesso Claremont torna. Appena termina la collaborazione con la Dark Horse e l’Image. “
Ed ecco anche i suoi WildC.A.T.S.
Solo che Sovereign Seven fa schifo, First Flight e i WildC.A.T.S. fanno schifo, e Sara non baciava per niente bene.
E allora s’aspettava Claremont come Godot, tra quei banchi di una scuola insopportabile. Nella voglia di essere altrove rispetto ad ogni luogo. In un’adolescenza che vedeva morire i vecchi della mia famiglia, annegare nella noia, fare l’amore per la prima volta con quella ragazza di Napoli, scoprire la rete, nelle fughe in Abruzzo e nel sogno di fare proprio i fumetti, per vivere.
Il sogno mio, di Giovanni, di molti dei ragazzi che frequentavano la fumetteria e di Giorgio e Sonia che ci ascoltavano.
Ad Albano, dopotutto, ci arriverà anche la puzza delle vacche del papa, ma c’era il sole a Piazza Pia, il fresco a Villa Doria, e le ragazze più belle dei castelli.
Claremont, prima o poi, sarebbe tornato.
4.
Claremont tornò.
Ma non sugli X-Men.
Tornò alla Marvel per scrivere i Fantastici Quattro e io comprai ogni singolo albo.
Inizialmente facevano schifo (sfido io, li disegnava Larroca), poi pian piano mi iniziai ad appassionare alla trama.
Claremont è così. Ti sposta i pianeti, ma devi farlo carburare.
Non carburò.
Lo spostarono su una prima run degli X-Men. Claremont è tornato!
Fece talmente schifo che non gli diedero neanche il tempo di carburare.
Lo tolsero dalla testata madre e lo spostarono su una creata ad hoc per lui: Extreme X-Men.
Claremont è tornato!
Non carburò.
Come un ospite scomodo iniziarono ad affidargli testate sempre più lontane da quella ammiraglia con risultati a mezzavia tra il deludentissimo e l’inconcludente.
Recentemente, in un ultimo speranzoso tentativo gli venne data dalla dirigenza Marvel, la possibilità di riappropriarsi dei personaggi che era stato costretto ad abbandonare anni prima.
Come se fossero stati congelati con la loro separazione, ed eccoli ora, pronti per ripartire.
Un gesto di scuse, un estremo tentativo di ricucire una ferita inflitta per cieche logiche aziendali, dopotutto, i personaggi dei fumetti quasi non se ne accorgono se il tempo per loro si ferma.
E quindi eccoli: Wolverine, Ciclope, Colosso, Tempesta, Rogue, Gambit e Xavier nei loro costumi del 1991. Eccoli pronti a recuperare le trame interrotte quindici anni prima.
I personaggi dei fumetti non se ne accorgono se il tempo per loro si ferma.
Non se ne accorgono, loro.
Ma i loro autori sì.
E se gli X-Men sono riusciti ad aspettare fino al ritorno di Claremont, a Claremont non è riuscita la magia di far tornare gli X-Men.
Sono loro ad essersene andati.
5.
Giovanni ed io abbiamo superato i trent’anni.
Nel frattempo abbiamo mangiato troppo, non ci siamo mai innamorati della stessa ragazza e abbiamo iniziato a vivere scrivendo fumetti, e altre cose.
Continuiamo a comprare ogni mese gli albi degli X-Men per inerzia e devozione verso ciò che rappresentavano per quei due sedicenni stesi al sole di un pomeriggio feriale.
In attesa che la fumetteria aprisse.
In attesa di un editoriale in seconda di copertina che annunciasse fieramente l’arrivo del loro Godot.
Perché lo sapevamo tutti, che, prima o poi, Claremont sarebbe tornato.
OMAGGI
Magneto e Nightcrawler di Walter Trono. Per vedere tutti gli altri X-omaggi cliccate sulla foto
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