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Tanzania, nuove opportunità di lavoro: il guaritore di bajaj (The bajaj helaer)

Creato il 05 febbraio 2016 da Loredana De Michelis @loridemi

Tanzania, nuove opportunità di lavoro: il guaritore di bajaj (The bajaj helaer)Chi mi assicurò che la Tanzania era terra d'opportunità, forse si riferiva ad altro: forse alle miniere di minerali preziosi, la cui ubicazione è finalmente nota a molti per via dell'arrivo dei cellulari anche in zone rurali. Un nuovo Klondike è nato in sordina e si setacciano i fiumi delle foreste con un certo successo. Mancano decine di migliaia di insegnanti e un esperto IT locale ha seguito ben un mese di corso: le qualifiche di un ragioniere a confronto sono altisonanti.
Come italiana, potrei affermare con una certa serenità che qui posso fare il mio mestiere senza che nessuno mi chieda un pizzo in collezione di qualifiche, esami di stato, tasse, lacrime, umiliazioni, e un master in gestione delle nevrosi di potere, oramai obbligatorio anche per le commesse di supermercato.
Allora, visto che è così, è proprio qui che si scatena la fantasia.
Quasi ogni mattina mi reco a fare un lavoretto, sempre nello stesso posto: mi avvio per la stradino fino al punto di riunione dei Bajaj, i piccoli taxi a tre ruote guidati da personaggi multifantasia, senza uno straccio di patente. Oramai sono una veterana, e ho rischiato la vita talmente tante volte, che se il guidatore non fa almeno un chilometro contromano, non mette sotto un passante e non facciamo un pelo a un fosso smangiando la strada che vi si sbriciola dentro, mi pare che in questo posto non mi sia rimasto più niente di eccitante da vivere.
Ogni giorno, i guidatori di bajaj, che bivaccano sempre nello stesso posto, perlopiù dormendo nel loro veicolo, e che mi conoscono benissimo, fanno finta di non sapere dove io debba andare e ricominciano la trattativa da capo.
Oggi però è l'ora di punta e c'è un solo bajaj: il suo proprietario lo sta lavando con alacrità insolita, lucidandolo a suon di sapone e gran secchiate di acqua del fosso.
So che non bisogna disturbare un bajaj-driver durate le sue abluzioni mattutine, inutile pensare che questi eroi del pelo millimetrico abbiano bisogno di lavorare: hanno bisogno di soldi ma è un'altra cosa e la connessione lavoro-soldi è una mia limitatezza culturale, già lo so.
Però è l'unico bajaj che c'è, e rischio di fare tardi. Così, timidamente, mi avvicino all'autista energumeno che ha una maglietta rossa con su scritto: "bora-bora" e gli chiedo se mi può portare al Colosseum Hotel.
Non parlano mai inglese ma lo sguardo è eloquente e dice quello che mi aspettavo: "Donna, non vedi che sono occupato?". Io prontamente rispondo con la faccia della mzungu (bianca) farcita di denaro, spersa nella giungla e incerta sul da farsi.
Un'ombra di colpevole senso del capitalismo si insinua nell'animo di bora-bora e fiacca la sua volontà tutta d'un pezzo: mi fa un cenno sconsolato di attendere, asciuga il sedile, ci mette un pezzettino di stoffa sul quale mi indica premurosamente di sedermi, si infila le cuffiette, che il rumore del traffico inquina la rotta celeste verso la morte eroica, e cerca di avviare il bajaj tirando la leva che sta vicino alla pedaliera, come se fosse un motoscafo.
E tira una volta e tira due, e tira trecento, il motore non d° cenni di vita e noi siamo sempre nella stessa pozzanghera.
Arriva un altro bajaj e i due uomini si mettono a trafficare con i pochi pulsanti presenti sul cruscotto della piccola ape car: ce n'è uno rosso, che sembrerebbe (a me, ma son opinioni) quello dell'iniezione, e che viene premuto scaramanticamente più volte e a ritmi e pressioni diverse: niente.
Il nuovo arrivato si sostituisce al mio autista con il braccio oramai paralizzato e tenta anche lui vigorose messe in molto tirando la grande leva, che sembra durissima: niente.
A quel punto, tutti si smonta dal veicolo e si apre il cofanetto posteriore in cerca di una risposta: il motore lì contenuto è grosso come un gattino ed è fradicio. Fa anche qualche bolla di sapone.
Lo fissiamo tutti con grande spremimento di meningi e io m'improvviso meccanico esperto: "Secondo me si è bagnato".
Non che abbiano capito cosa ho detto, ma tutto il mondo è paese quando si tratta di guardare con sufficienza una donna che pretende di parlare di motori come se ci capisse qualcosa.
Si tenta un'ulteriore messa in moto a spinta che s'inchioda su un rumoraccio d'ingolfamento totale.
Ulteriori miei commenti da casalinga non sono evidentemente graditi e io taccio rispettosa.
Affranto, e con il crescente sospetto che io non sia altro che una che porta sfiga, il mio ex autista in fieri mi fa segno di salire sull'altro bajaj, consegnandomi all'altro guidatore.
A questo punto io però decido per una carriera nuova e mai tentata prima: si dice che certi impulsi che partono al cuore devono essere seguiti senza indugio. Chiedo un po' di attenzione, impongo le mani sul motore, a 10 centimetri di distanza, e chiudo gli occhi, concentrando e lasciando fluire l'energia guaritrice per un minutino di silenzio durante il quale nessuno osa fiatare.
Apro gli occhi, li affondo in quelli di bora-bora e gli dico: "1 hour, all good", facendo un segno rassicurante verso il motore.
Monto regale sull'altro bajaj. Ci sono 40 gradi, però è umido: forse dovevo dire due ore. Boh.
Quando rientro, 4 ore dopo, manco a dirlo è l'ora della siesta: sveglio tutti con fare educato e mi informo presso bora-bora sullo stato di salute del suo bajaj: scatta un tripudio di strette di mano e sguardi rapiti, sorrisi luminosi. Il bajaj è tutto ok. Grazie grazie.
Quando arrivo a casa lo sanno già tutti: ho miracolato un bajaj con il fluido magico. Io mi schermisco, la modestia innanzitutto.
Per oggi li lascio sognare.
Domani chiedo lo sconto.

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