Gli appassionati australiani di Wings of Kilimanjaro hanno strappato al governo del Tanzania l’autorizzazione a volare in parapendio dalla cima del Kilimanjaro per un nutrito numero di sportivi del settore (100), disponibili a farlo e provenienti da tutto il mondo, che hanno iniziato il loro percorso di gara ieri, domenica 27 gennaio.
L’obiettivo era, è stato e rimane quello di raccogliere più denaro possibile per mettere in salvo molti ambienti naturali al momento in pericolo come, ad esempio, i cosiddetti parchi che, in Africa, beneficiano principalmente delle entrate legate ai flussi turistici più che degli aiuti governativi e che,senza denari, rischiano il degrado.
Ma anche e sopratutto per risolvere il problema “acqua” e assistenza sanitaria, tutti aspetti di una medesima urgenza, di cui si occupano tre organizzazioni non governative già operanti in loco
Che ne abbiano dato notizia i media del posto, come il quotidiano “Tanzania Daily News”, è perché la possibilità di praticare il volo in parapendio dal Kilimanjaro era, fino a poco tempo fa, assolutamente “out” per la sua pericolosità.
I moderni supporti della odierna tecnologia specifica (leggi finanziamento ricco all’evento) hanno invece,a quanto pare, convinto e così c’è stato il via alla manifestazione sportiva, che si concluderà il 5 febbraio.
I cento piloti iscritti, prima di raggiungere il Picco della Libertà (Picco Uhuru) e lanciarsi da un’altezza di circa seimila metri, faranno la loro bella arrampicata, assistiti da esperti cuochi ,guide e portatori.
Insomma proprio le cose in grande stile.
E questo conferma, secondo me, due cose .
Che il Tanzania cammina, nonostante le difficoltà che oggettivamente ci sono, o ci possono essere, per mettere in piedi una effettiva buona “governance” del Paese, e che non intende affatto,testardamente, arrestarsi sulla strada dello sviluppo.
E poi che , dall’esterno, c’è chi guarda (e si tratta di più di uno) con una sorta di benevolenza, mista (ovviamente) alla prospettiva neanche troppo lontana del moltiplicarsi dei propri interessi economici, alla “sua” crescita.
E i suoi governanti, come accade sempre (o spesso) in tutta l’Africa, sembra che ci stiano.
a cura di Marianna Micheluzzi (Ukundimana)