TARTUFO E LA SCALATA AL POTERE IN “FORMATO FAMIGLIA”
Tartufo è una commedia?
Il mondo che Molière tratteggia è nevrotico, ossessivo, malato, pieno di idee fisse, visionario. In quel mondo non c’è spazio per rapporti schietti, e le relazioni fra i personaggi sono viziati dalla necessità di agire secondo politica e convenienza. In un mondo siffatto essere leali significa essere stupidi. Intelligenza e male coincidono, e il buonsenso e la misura finiscono per apparire valori volgari e sguaiati (il personaggio della serva Dorina ne è esempio da manuale).
Il protagonista, destinato dal suo autore a rappresentare l’ipocrisia, ci appare ad un tratto il meno falso di tutti. Personaggio senza ruolo, inafferrabile, senza passato, che Molière coglie probabilmente in uno dei tanti intervalli della sua eterna fuga, viene a seminare scompiglio nel quieto (e mortale) teatro tradizionale in cui (come vuole l’eterna commedia) agiscono un padre stupido, una moglie prudente, un figlio animoso, due innamorati inutilmente litigiosi e una serva pettegola. Tartufo (corpo estraneo) si immerge in quel contesto comunitario per scatenare tensioni e ossessioni.
Tartufo ipocrita?
Direi piuttosto portatore di verità perché attraverso lui lo schema della famiglia tradizionale denuncia se stesso e si frantuma.
Quando mi chiedo se dalla commedia delle finzioni sia possibile uscire, mi rispondo che è un dovere farlo. Molière ci aveva tentato nella prima stesura di Tartufo, ma dovette poi piegarsi alla censura e alle critiche del ceto clericale che addirittura spinse Luigi XIV ad allontanare il commediografo dalla corte. Ci volle più di una supplica ed una revisione sostanziale del testo per ottenere il perdono. La nostra scelta di eliminare il quinto atto (probabilmente aggiunto dal suo autore per compiacere Versailles) e concludere lo spettacolo con la vittoria di Tartufo e la sconfitta della famiglia, e quindi della commedia tradizionale, credo restituisca allo scritto modernità, dignità e coraggio.
Tartufo ipocrita?
Direi piuttosto eroe chiamato dalla strada a sfidare un sistema, giustiziere della finzione che si ripete da secoli, distruttore di quel castello di menzogne che un certo teatro continua a perpetuare.
Tartufo appartiene alla classe dei poveri in canna, ma è perfettamente cosciente che per la liberazione dai pregiudizi e dai falsi ruoli non servono denari ma astuzia, intrigo, complotto, e quindi intelligenza (di cui lui è ricchissimo). Ma l’intelligenza non basta. Nullatenente, con le scarpe bucate, appartenente alla classe dei servi, il nostro protagonista deve trovarsi un padrone: e se lo sceglie nel Cielo. La religione diventa lo strumento attraverso cui scalare il potere perché è un’arma (e un pretesto) che abbindola, crea fanatismi e sparge terrore. Il Cielo gli permette di giustificare l’eliminazione di coloro i quali sono di intralcio al progetto di potere (in questa edizione, vedasi la fine dell’illuminista Cleante). Quanto più osserviamo questa pretesca figura, tanto più ci persuadiamo che di fronte a noi abbiamo una perfetta immagine di uomo politico e che in fondo Tartufo si limita a gestire, in formato famiglia, gli stessi metodi di comportamento di un uomo che tenta la scalata al potere.
Quanto è tremendamente attuale Messier Tartuffe!
NICOLA ALBERTO OROFINO
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