Si fa presto a dire fretless.
Anch’io la facevo facile: “Ma sì, cosa vuoi che sia un manico senza tasti?… Ci fai l’abitudine e passa tutto”.
E poi era arrivato il commesso del negozio di strumenti, sì, quello incrociato quest’estate in preda a febbre da fretless.
Com’è che aveva detto?…
«Fanciulla, t’avverto: Lui non è come tutti gli altri.
Avanti, provalo. Passaci insieme una settimana.
Trascorsi sette giorni esclusivamente in sua compagnia, t’assicuro che ti sentirai la donna più potente di questa terra. Particolarmente quando riprenderai tra le braccia il tuo precedente Lui, il basso frettato: un tipo facile, troppo facile. Tanto immediato che pure la voce è sempre intonata».
Ricordo la bella dose d’incoscienza con la quale avevo estratto la carta di credito, giurando tra me e me che, no, non avrei mai abbandonato il negozio senza il mio nuovo Lui. Convinta che la vita, lì fuori, non avrebbe più avuto senso senza il suo bel body in legno opaco, senza la sua seducente tastiera, liscia – per usare un paragone forse inflazionato – come «il culetto di un neonato».
Liscia e irresistibile, senza un riferimento che fosse uno, identica a quella di un contrabbasso.
“E chi se ne frega se non ho uno straccio di esperienza coi manici senza tasti: si impara, diamine”.
Oggi, dopo un tour de force a base di fretless, non mi sento la donna più potente di questa terra. Mi sento invece come i bimbi delle elementari che impararano a scrivere su foglio bianco, senza righe o riferimenti: fragile e indifesa, priva di appoggio, sicura di inciampare e di farmi seriamente del male.
Ma ne vale la pena, eccome se ne vale la pena.
Appena riuscirò a finire il pezzo che sto studiando, riprenderò in mano, con gran gioia, lo spartito di quest’altro brano. Anche se temo che slappare su un fretless che monta corde lisce farà rivoltare nella tomba il buon Pastorius…