Tattoo Motel di Davide Cortese letto da Fernando Della Posta

Creato il 11 febbraio 2015 da Wsf

E’ una mappa geografica dell’intimità il primo romanzo di Davide Cortese. E la pelle è il fragile tessuto utilizzato per redigere questa mappa. Una mappa che cerca di fare chiarezza nella vita, una mappa riempita di segni e tracce da decifrare per trovare una strada da percorrere consapevolmente, a tentoni, errore su errore, esplorazione su esplorazione. Come la vita ti fa fare i giri più contorti, ti fa sbattere il muso contro i muri più insospettati o ti apre vallate e campi sconfinati su cui correre a perdifiato verso qualcosa che magari hai già visto, ma che non avevi messo a fuoco del tutto, così i piccoli frammenti cinematografici di Davide Cortese, le piccole prose di cui è composto Tattoo Motel, tra anticipazioni e flashback, squarci di luce latente e oscurità striscianti, aprono angoli di luce inaspettati sulla vita affettivo/sentimentale dei protagonisti.


E’ l’amore infatti il tema principale di Tatto Motel. L’amore scandagliato e coniugato sin nei minimi particolari. L’amore messo ad asciugare come delle stampe fotografiche sulla tela di un teatro d’ombre cinesi, declinato come una serie di tattoo finemente cesellati su lenzuola color carne. Eva, infatti, la protagonista del romanzo, si vede travolta da tutti gli stadi dell’amore nel giro di pochissime pagine. Da quello etereo, svagato, sospettoso e stralunato delle prime volte, quello dei passi più lunghi della gamba, come l’idea di far tatuare il proprio gatto o il farsi tatuare sull’inguine e sul seno per avere un primo contatto con la persona amata, a quello maturo di chi sa quello che vuole, di chi sa che il proprio irrazionale bisogno di una persona è l’unica cosa che rende degna di essere vissuta la propria vita, quello che perdona tutte le mancanze dell’altro e riesce a trasformarle in punti di forza su cui far leva per rinsaldare indissolubilmente un rapporto. Ed è la fase dell’amore stralunato quella che colpisce di più: per la passionalità e i tratti utilizzati vengono in mente, oltre alle indimenticabili pagine dei simbolisti francesi, le prime pagine de “Il libro dell’Inquietudine” di Fernando Pessoa ossia le litanie, le introduzioni e le invocazioni.
Ma non è solo l’amore tra uomo e donna l’unico preso in considerazione nel libro, c’è anche l’amore messo a fuoco nel senso più ampio dell’affettività. L’elenco dei tatuaggi fatti durante il giorno che Dan, il tatuatore, fa al figlio Nico ogni sera, infatti, si muove come un caleidoscopio di piccole meraviglie che trapuntano la tenera intimità di quello che può essere un rapporto padre/figlio fortemente corroborato dalla morte della moglie/madre prima e del padre/nonno poi. La visione del mondo e la dimensione affettiva del figlio Nico, è tratteggiata nitidamente nella descrizione delle storie che popolano il suo mondo di bambino, dalla storia dei nonni che vivevano in una casa con una sedia sola e un piatto solo, alle domande incessanti al padre Dan sulla madre. Sullo stesso ordito si muovono gli altri capitoli della storia, una serie ottimamente assemblata di affreschi minutamente messi a fuoco nei loro piccoli particolari. Tasselli finemente contornati a tratto penna nera e a colori spenti come lo sono solo le strisce manga o i tatuaggi. E l’uso nella narrazione della seconda persona singolare sembra proprio illuminare trasversalmente un qualcosa di nascosto, con fare confidenziale ma mai di rimprovero. L’autore, infatti, sembra muoversi nel racconto come una neutrale coscienza narrante.
E quando si parla di amore, follia e morte sono temi che non si possono tralasciare. E così fa anche Davide Cortese. E’ follia quella di Eva quando si fa tatuare delle sirene nere sui seni e sull’inguine per farsi toccare dal tatuatore, è follia il viaggio dal Brasile di Diego per dichiarare il proprio amore ad Eva ed è follia soprattutto quella di Dan di tatuare i corpi della moglie e del padre morti. Dan, infatti, sembra reagire al dolore della perdita con il gesto incontrollato di tatuare le salme dei propri cari, come se volesse apporre la sua firma per attestare una sua proprietà sulla corporeità dei propri congiunti, come se volesse apporre un sigillo a testimonianza del proprio amore che prima di tutto vuole vincere la morte, che vuole strappare alla morte le persone a lui più care per farle sue e solo sue, con l’intento disperato e vano di cercare di proteggerle dall’inevitabile. E colpisce come l’unica persona viva che lui tatua con l’inganno, ossia facendole un tatuaggio diverso da quello che lei gli ha chiesto a sua insaputa, è proprio Eva. Per Dan una dichiarazione d’amore implicita più grande di qualsiasi altra fatta esplicitamente nella sua vita. Il suo essere più intimo, infatti, afferma urlando a gran voce il proprio amore per Eva molto prima del riconoscimento e della dichiarazione consapevole e reale, che nel racconto arrivano solo dopo tanti tentennamenti e allontanamenti di Eva, suggeriti proprio dalla paura della propria pazzia e dal ricordo della moglie morta.
Nella follia di Dan, inoltre, possiamo riconoscere un altro tema caro alla letteratura: il ruolo dell’artista e il destino delle sue opere. Tatuando di nascosto e senza consenso, quasi profanando, nel caso dei morti, o con l’inganno nel caso di Eva, Dan sembra affidare dei messaggi interamente propri all’eternità come i veri artisti. Nel caso dei tatuaggi infatti, l’elaborazione di opere d’arte interamente proprie non esiste, poiché il tatuatore esegue sempre un lavoro precisamente stabilito dal cliente. Dan quindi, con la sua follia, sembra voler oltrepassare questo limite della sua professione per essere artista a tutti gli effetti, pur essendo consapevole che comunque la sua opera non ha nessuna possibilità di diventare immortale:
“Non avrei visto mai più quel ghigno beffardo così ben riuscito. Non lo vedrò mai più. La mia arte non mi sopravviverà. Non ci sarà mai un uomo che ho tatuato che appenderanno al muro di un museo, di una galleria”.
E poi continua, in uno dei passi più intensi del libro:
“Quello che accade sulla nostra pelle accade davvero? Comunque sia non ne rimane alcuna traccia”.
Un’amara conclusione che sembra dare un carattere di profonda inutilità a tutte le esperienze che viviamo in prima persona, “sulla nostra pelle” appunto, cosa che però, le stesse vicende narrate successivamente smentiscono, poiché dal dolore e dalle vicende apparentemente insignificanti dell’intimità dei personaggi del libro, e quindi di ognuno di noi, si genera bellezza e valore individuale che proprio perché accomunano la vita di tutti diventano universali.
Tutti noi come i clienti di un motel, in continuo passaggio di notte in notte, riempiamo il nostro fugace vissuto di vicende e fatti straordinari, che, pur durando l’ebbrezza di pochissimi istanti, marchiano la nostra pelle dolorosamente e meravigliosamente come un tattoo con i caratteri dell’eternità.

di Fernando Della Posta

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