"Tazio (ovvero la notte dei morti viventi)" di Francesco Pasqua
Creato il 09 maggio 2012 da Peterpasquer
Non
era mai stato all’altezza di un cazzo, poteva parlare quanto
voleva, agitare le mani come ventilatori guasti, lavarsi ogni giorno
i capelli e ripetere in continuazione “certo certo”, ma non
sarebbe mai stato all’altezza di un cazzo. Scoprì le avventure di
Indiana Jones un po’ troppo in ritardo rispetto agli altri suoi
coetanei ma la cosa non gli impedì ugualmente di pensare a se stesso
come a un archeologo impavido e affascinante, salvo poi ricredersi
verso i vent’anni e capire che forse quella del cantautore sarebbe
stata la meta più ambiziosa e coraggiosa per uno come lui. Ma non
scrisse mai una canzone. Mai. Solo alcune poesie destinate a uno dei
tanti scaffali colmi di niente nella propria camera. Più tardi
rincorse un corso per periti informatici perché qualcuno gli disse
con fare convincente che l’informatica andava – eccome se andava!
– quindi fece l’esame attitudinale, passò per colpo di culo e
abbandonò tutto alla terza settimana a causa delle troppe ore di
studio, dei troppi nasi troppo storti di taluni professori e di una
strana allergia che, non seppe come, lo colpì alle ascelle. Scelse
così un corso d’inglese per meglio capire i testi dei Pink Floyd e
di Leonard Cohen, ma anche lì dovette fare i conti con cose assurde
tipo il genitivo sassone e la ‘th’ pronunciata con la lingua in
mezzo ai denti. In compenso scoprì l’acconciatura
davvero-troppo-carina di Lalla, sua compagna di banco
intelligentissima e veramente figa.
“Simpatica!” E sebbene fosse la
classica tipa 'se vuoi che ti faccia una sega regalami un paio di
guanti', lui la trovò davvero giusta e convincente quando, a
proposito del corso, gli confidò: “Che palle, io cambio linea.”
S’iscrissero
di comune accordo a un corso di pattinaggio e lui, tra un abrasione e
l’altra, le confidò che stava pensando di fare un viaggio.
“Dove?”
“Londra.”
“Che
merda, Parigi è più figa. Tutti ormai vogliono andare a Londra per
fare gli alternativi. Prima Cuba, ora Londra. Che merda…”
“Sì, hai regione. Meglio Parigi.”
A Parigi non ci andarono mai. In
compenso presero molti tè all’Exit, uno dei locali più
democratici di Scarlatti. Solo un particolare. Non avevano in
simpatia Almerio, il tipo dietro al bancone. O, almeno, a lui stava
simpatico prima, fino al giorno in cui Lalla gli confidò, con tanto
di labbro pendente, che proprio non lo digeriva.
“Perché?”
“Ma non lo vedi?”
“Ah, già…”
E
cominciò a non digerire anche alcune sue vecchie conoscenze, quelli
che tra un rum e l’altro cazzeggiavano sul cinema citando a memoria
le battute di certi splatter-movie e altrettanti film di serie B
sgangherati più delle loro risate. Non che il cinema non gli
piacesse (aveva tutta impacchettata l’imperdibile raccolta dvd dei
Classici del Cinema) solo che quelli ne parlavano in modo un po’
troppo forte, sempre così convinti, così chiassosi, così
competenti.
“Che antipatici,” disse Lalla.
“Già.
Solo perché hanno visto tutti quei film che poi, sinceramente,
nemmeno mi piacciono.”
“Di che film parlavano?”
“Fuori Orario… L’hai
visto?”
“No. E tu?”
“Nemmeno. Però ce l’ho.”
“Hai visto Underground?”
“Sì, fantastico.”
“Insomma…”
“Lo so, non è bellissimo però
carino.”
“Preferisco il genere Dogma 95.”
“Ce l’ho ma ancora non l’ho visto.
Dev’essere fantastico. Magari una di queste sere potremmo vederlo,
ti va?”
“Sì, ma non è un film…”
“Certo, certo. Meno male però che
abbiamo gli stessi gusti.”
“Cosa?”
“Dicevo, più o meno abbiamo gli
stessi gusti, no?”
“…a volte,” sbuffò Lalla.
“Certo, certo. A volte…” la
tranquillizzò lui.
Poi
una sera, all’Exit, entrò un gruppo di ragazze. Una di queste lo
riconobbe. “Ciao Tazio. Da quanto tempo.”
“Ciao. Come stai? Tutto bene?”
“Sì, grazie. Tu?”
“Io bene, sì.”
“Che stai facendo di bello?”
“Dici qui a Scarlatti?”
“Sì, in genere…”
“Niente di nuovo, sto rincorrendo
alcune idee e ne ragionavo proprio con lei. Scusa non vi ho
presentate. Lei è Lalla…”
“Piacere Claudia. Quindi?”
“E quindi niente, vorremmo aprire un
negozietto per vendere oggettini, piccole cose di cuoio, roba
artigianale insomma, anche borse, tazze e cose di questo tipo.”
“Bello. Hai fatto domanda?”
“No, infatti parlavamo di questo.”
“Ti
conviene sbrigarti. Te lo dico perché io ho ottenuto solo ora i
finanziamenti per il mio laboratorio di ceramiche. Una faticata che
non immagini durata un anno e passa; tra riunioni assurde, personaggi
schizzati, documenti da fare, moduli da compilare e scartoffie varie.
Adesso però ho tutto in regola e tra un mese forse aprirò, proprio
qui vicino. Speriamo bene… Ma, scusa, tu non volevi fare il
giornalista?”
“Il
giornalista? Ah, sì ricordo… Minchia, ma è proprio tanto che non
ci vediamo. Sì, solo che poi sono successe delle cose e allora ho
pensato che fosse meglio cambiare rotta. Comunque sentiamoci se apri
il negozio, mi piacerebbe darti una mano, ultimamente ho decorato a
mio modo alcune tazze. Se vuoi potrei fartele vedere, anche Lalla è
brava.”
Così Lalla si alzò per prendere la
sciarpa e la giacca.
“Ve ne state già andando?”
“No,” fece Tazio.
“Sì,” disse Lalla.
“Ah già vero,” confermò Tazio. E
sparirono.
Il
mese dopo Claudia, riuscì finalmente ad aprire il suo negozio di
ceramiche artigianali dipinte a mano. Sperò in una visita dei due ma
non li vide né entrare né passare. Dove erano finiti? La domanda le
tornò in mente durante una sera trascorsa all’Exit, assieme ad
alcuni amici. S’avvicinò ad Almerio, il banconista. “Scusa, ma
Tazio non è più passato?”
“Tazio? Ho saputo da qualcuno, non mi
ricordo chi, che adesso lavora in una tipografia.” Sorrise.
“E quella Lalla?”
“Lalla chi?”
“Quella che stava con lui, quella un
po’ strana che…”
“Ah, sì. Si è messa con uno. Adesso
è partita per Londra, mi pare.”
A Claudia piaceva Tazio. Sapeva bene che
non sarebbe mai e poi mai stato all’altezza di un cazzo ma in
qualche modo le piaceva. Amava convincersi che prima o poi l’avrebbe
trovato cambiato, perlomeno migliore rispetto al loro ultimo
incontro. Era una speranza cagionevole, fioca quanto lontana, ma lei
non desisteva. Di certo non si può dire che fosse proprio
innamorata, ma che nutrisse nei suoi confronti un amorevole
sentimento che potremmo chiamare d’interesse, questo sì, credo sia
lecito sospettarlo.
Lo
conobbe per caso durante una festa in cui lui, per non essere
tagliato fuori da un discorso piuttosto contorto sul cinema horror e
dintorni, dovette fingere la conoscenza di almeno tre titoli tra i
quasi trenta citati. Finché non gli rivolsero la domanda diretta
“Qual è il tuo regista horror preferito?” e lui, senza battere
ciglio, rispose “I nomi dei registi non me li ricordo. Ho visto
qualche film, così perché è capitato ma io amo un altro genere
di…” e un bastardo da dietro, “E il tuo film horror preferito?”
e Tazio ancora “…forse quello in cui c’era la…” e qualcuno
rise.
“Mi dispiace ma non ricordo il
titolo.”
“Non ti ricordi il tuo horror
preferito?”
“Ragazzi scusate, ma non è il mio
genere.”
“Ma se è da un’ora e mezza che
parliamo di horror e che fai sì con la testa.”
“Sì perché qualcuno ce l’ho a
casa. Solo che ancora non l’ho visto…”
“Ma vaffanculo. Dillo che non hai mai
visto un cazzo.”
“Dario
Argento,” disse automaticamente Tazio, nemmeno fosse un robot
programmato per rispondere a tutti i costi. Ne seguì un coro di
pernacchie e risate che gli bruciò sulle labbra quell’accenno di
sorriso idiota pensato apposta per rendersi simpatico. Non era un
coglione anche se a volte poteva darlo a sembrare, era intelligente e
anche più colto rispetto alla media dei ragazzi di Scarlatti, solo
che metteva quel sapere al servizio di una personalità atrofizzata.
Voleva bene a tutti e quindi a nessuno, sovraccarico com’era di
formalismi e buonismi da buon chierichetto di provincia. Insomma, una
bella frase in un romanzo inutile.
Claudia
in quell’occasione lo avvicinò davanti al tavolo degli alcolici.
Lui aveva in mano un bicchiere con del whisky, o almeno così credeva
prima che lei lo avvisasse che si trattava di cognac.
“Cognac?”
“Scusa, non l’hai assaggiato?”
“Sì, certo, certo…”
“E allora come fai a dire che è
whisky?”
“Non lo so, pensavo che fosse whisky e
allora mi sono autoconvinto,” e provò a riderci su tentando una
goffa imitazione di Edward Norton.
“Hai
sempre riso così?” chiese incuriosita, e Tazio, pensando di
possedere la stessa verve di Bob Hope o di Groucho Marx, ribatté
prontamente “No. Solo dall’ultimo…”, ma gli mancava sempre la
battuta finale. La stoccata vincente. Si bloccò e mandò giù un
sorso.
“Buono però ‘sto cognac…”
“Studi?”
“Adesso
non più, però ho alcune idee, alcuni progetti che sto cercando di
mettere nero su bianco per creare un gruppo di lavoro capace di
autopubblicarsi. Conosci Marco?”
“No.”
“Marco è il ragazzo col quale
collaboro. Scrive cose, così come me.”
“Che scrivi?”
“No, io non scrivo, cioè sì vorrei
fare il giornalista però solo piccole cose.”
“Hai già collaborato con qualche
giornale?”
“No, questo no. Prima o poi credo che
dovrò.”
“Beh, il giornalista è molto più
attivo e dinamico, meno sedentario rispetto a uno scrittore, mi
pare.”
“Infatti,
infatti…” E qui si chiuse la prima parte della loro prima
chiacchierata. A Claudia bastò poco per capire che tipo di persona
fosse Tazio. La scosse quel suo modo di camminare, sempre attento a
non disturbare troppo, a non intralciare troppo, a non spaziare
troppo, così quel suo vizio di fissare per circa un quarto d’ora
il dettaglio di un mobile qualsiasi assumendone l’espressione. Lo
trovò carino, di bell’aspetto, gradevole sui primi due minuti di
interazione ma assolutamente nullo allo scadere di quel lasso di
tempo. Addirittura irritante per quella sua abitudine di ripetere
continuamente lo stesso concetto almeno cinque volte prima di
cambiare totalmente argomento. Pareva sapesse sempre tutto e citava
sempre qualcun altro per non dover sopportare il peso di un’opinione
tutta sua. Se gli chiedevi di un dipinto o di un libro lui era capace
di spararti il nome dell’autore prima ancora di farti arrivare al
punto interrogativo e a volte, francamente, nemmeno gli interessava
comprendere se ci fosse o no quel punto interrogativo. La sua
personalissima missione era informarti che anche lui, come pochi
altri, era al corrente di quella data cosa, salvo rari ma eclatanti
episodi in cui – sospinto dall’impeto orgasmico della risposta –
confondeva gli espressionisti con gli impressionisti o, parlando di
cinema, Spike Lee con Bruce Lee.
…ma a Claudia piaceva comunque.
Quella sera, alla festa, parlarono per
un po’ sul balcone. Lei sporta verso il vuoto di sotto e lui
poggiato con le spalle alla ringhiera, rivolto al caos e alle risate
della casa. Per riflesso, a volte, rideva anche lui.
“Hai mai visto L’attimo
fuggente?” gli chiese ad un certo punto Claudia.
“No. Ma ce l’ho,” rispose fulmineo
lui.
“Vedilo.
È molto interessante, io ho quasi pianto mentre…” ma lo sorprese
con lo sguardo spento su una zona impossibile del vaso di cactus alla
loro destra.
“Ci sei?” gli domandò.
“Sì,
scusa ero un attimo… Stavo pensando che quando ho comprato quel
film, all’edicola sotto casa mia, ero uscito anche per fare il
regalo di compleanno a mio padre. Volevo comprargli un accendisigari
ma l’amico che stava con me, così per assurdo, tirò fuori un
discorso sui Testimoni di Geova e sul fatto che loro non avrebbero
mai comprato né un accendisigari né niente da regalare, nemmeno a
un loro caro. La sapevi questa? Pazzesco! E proprio in quell’istante,
mentre ridevamo su questa bestialità, ci imbattiamo in due Testimoni
di Geova che ci fermano per raccontarci cose assurde tipo: il mondo
non può essere comandato dagli uomini, il regno di Dio è più
vicino di quanto crediate e cazzate del genere. Pazzesco.”
“Sì, ma che c’entra con quello che
stavo dicendo?”
“No, siccome c’era il film di mezzo
allora… Non c’entra niente hai ragione, perdonami.”
“Va bene, lasciamo stare…”
“No, scusa, dài, mi dispiace, solo
che improvvisamente ho pensato che c’era qualcosa che potesse
collegarsi con… Dài, scusa, non…”
“D’accordo. Sarà che anch’io sono
un po’ stancante.”
“No, davvero, siccome il tuo
ragionamento era… Dài, non fare l’offesa. Scusa.”
“Tranquillo, non è successo niente.”
Ma ce ne volle perché Claudia non gli sferrasse un gran calcio sulle
palle. Si voltò dall’altra parte e respirò. Lui le si avvicinò
come un cucciolo.
“Stai bene?”
“Sì. Mi dispiace ma sono in un
momento tragico della mia vita.”
“Siamo sulla stessa barca…”
“Ma tu almeno hai le idee più chiare.
Decidere di fare il giornalista è già qualcosa.”
“Sì, ma ancora è prematuro. Per
esempio mi piacerebbe anche insegnare…”
“Insegnare?”
“Sì, mi piacerebbe. Però devo
iscrivermi all’università.”
“E cosa vorresti ins…”
“Non
lo so. Sono indeciso tra teologia o sociologia, una ragazza che
conosco dice che…”
“Beni culturali no?” aggiunse
ironicamente lei.
“Sì,
anche Beni culturali non sarebbe male. Ho dei libri interessanti a
casa. Sai, quelli sui misteri delle piramidi in Egitto? Ti rendi
conto che ancora non hanno capito come…” e Claudia sperò in un
aiuto qualsiasi, anche l’occhiata distratta di un conoscente
sarebbe bastata, una canzone, una risata, uno starnuto che potesse
fungere da scusa per andare di là e occuparsi di qualcos’altro che
non fosse quel maledetto gruppo elettrogeno impazzito. Nessuna
clemenza.
Tenne
a bada i nervi finché decise, complice uno sbadiglio, che si era
fatto tardi e che sarebbe stato più saggio tornare a casa. “Scusami
Tazio, mi dispiace interromperti, ma devo andare. Domani mattina
dovrei…”
“Figurati, niente,” disse lui. E si
accomiatò con una pacca sulla spalla. Come se tutta quella colata di
parole sulla Sfinge, sulla Torre di Babele e sulle Linee di Nazca
fosse in realtà soltanto un numero di repertorio che non aveva mai
avuto intenzione di portare a compimento.
Puro e semplice intrattenimento.
Claudia
quella notte, sotto le coperte, cercò di figurarsi il genere di
ragazza che, in qualche modo, avrebbe potuto legarsi a uno come
Tazio. L’unica ipotesi accettabile era Cindy Lauper in un film di
Frank Capra. Per questo, quando quella sera all’Exit lo sorprese in
compagnia di Lalla, storse la bocca. Perché se da un lato avrebbe
potuto associare la tipa – in quanto a discrezione nel look e modo
di masticare la chewing-gum –
a
certo tipo di pop-star anni ‘80, dall’altro stentava a trovare
una connessione tra quel suo pesante modo di fare e le brillanti
commedie del famoso regista siculo-americano (del quale al massimo le
ricordava il solo cognome.)
E adesso la notizia delle notizie: lui
che lavora in tipografia e lei che parte a Londra col fidanzato.
“Ma allora stavano insieme o no?”
“Chi?” domandò Almerio mentre
preparava l’ennesima bionda alla spina.
“Tazio e Lalla.”
“Forse. Non so sai? Magari no.” E le
consegnò un dubbio tra le mani.
Gli amici intanto si alzarono dal
tavolino in fondo al locale e s’avvicinarono alla cassa per pagare.
Claudia mandò giù l’ultimo sorso di birra e raggiunse la giacca
di lana appoggiata nel wine-bar lì vicino. Si sistemò il colletto e
guardò fuori dalla porta d’ingresso. Qualcuno pagò per tutti e la
sospinse in strada in modo talmente brusco che non ebbe nemmeno il
tempo di salutare Almerio. Ridevano tutti tranne lei.
“Ragazzi, io taglio di qua. Passo dal
negozio.”
“A quest’ora?”
“Sì, ho dimenticato le chiavi di casa
nel laboratorio…”
“Vuoi che veniamo con te?”
“No, tranquilli. Ci vediamo domani
sera?”
“Sì, a domani. Buonanotte.”
“Ciao e grazie per le birre.”
“Di niente. Ciao.”
Le chiavi di casa le aveva in tasca.
Semplicemente voleva passeggiare un po’ per i fatti suoi,
rimuginare su quel diavolo di dubbio, arrivare fino al porto e
tornare a casa stanca per addormentarsi subito, senza pensare a
nulla. Non ci riuscì. Non ci riuscì perché, poco prima di svoltare
verso la marina, vide in lontananza una sagoma nera accasciata sulla
strada e due persone accanto, chinate come per prestare soccorso.
Magari un barbone, pensò avvicinandosi.
Con enorme sorpresa s’accorse che il
modo di gesticolare di uno dei due corrispondeva a quello spasmodico
di Tazio.
“Ciao Tazio, che è successo?”
“Ehi, ciao Claudia. Bell’occasione
per rivederci dopo tanto tempo… Lei è Berny.”
“Ciao,” fece Berny.
“Quindi?
Mi vuoi dire cos’è accaduto?” disse Claudia mentre cercava di
capire se l’uomo per terra fosse ancora vivo.
“No, niente. Avevamo un appuntamento
lì all’angolo con degli amici che, tra l’altro, sono in ritardo,
e ci siamo accorti di questo barbone qui. Ci siamo avvicinati e non
sapevamo che fare.”
“Avete chiamato un’ambulanza, la
polizia, qualcuno?” chiese Claudia con tono severo.
“Eh
no, non sapevamo che fare perché eravamo un po’ scossi da…”
rispose quasi balbettando Tazio.
“Perché, che vuoi fare? L’ospedale
se ne fotte,” aggiunse filosoficamente Berny “…la polizia di
Scarlatti poi, lasciamo stare.”
Claudia
li squadrò con orrore; sembravano i protagonisti di uno slogan
sull’indifferenza. “D’accordo, capisco,” e accortasi che
l’uomo faticava a respirare si decise a girarlo a faccia insù. Non
era in buono stato, puzzava di birra e merda. Berny e Tazio fecero un
balzo di almeno due metri.
“Dài, non lo toccare. Chiamiamo
qualcuno… Tazio chiama qualcuno.” E Tazio tirò fuori dal
giubbotto il cellulare.
“Cazzo, non ho credito. Ti ricordi
stasera, quando ti dovevo chiamare per dirti del cinema e t’è
sembrato che t’avessi chiuso il cellulare? Era perché non avevo
soldi.”
“Pazzesco,” esclamò Berny.
“Infatti,”
aggiunse lui. E Claudia nel frattempo era riuscita a mettere a sedere
l’uomo.
“Che vuoi fare?” chiese Tazio.
“Aiutami a portarlo in macchina. È
parcheggiata accanto al mio negozio.”
“Il tuo negozio, già vero…” e
stava quasi afferrando il braccio del barbone, quando lo sguardo di
Berny lo gelò.
“Scusa Claudia, è che io
m’impressiono un po’.”
“Dài non fare lo stronzo Tazio,
aiutami.”
“Ma chiama l’ambulanza col tuo
cellulare, no?” squittì Berny.
“Facciamo prima noi. Questo ci muore.”
“Che
serata di merda,” esclamò Berny, “ma non puoi portare la tua
macchina qui?”
“La strada è a senso unico, mi
toccherebbe fare tutto il giro. Mi aiutate o no?” fece Claudia
impaziente.
Nel frattempo una comitiva allegra e
chiassosa passò di lì. “Ma dove cazzo siete stati?” disse uno
di loro.
“Niente, qui è successo un guaio. Mi
dispiace ragazzi…”
“Scusate, potete aiutarmi a portarlo
in macchina?” intervenne Claudia.
Il più sveglio, si chinò, afferrò
l’altro braccio del moribondo e aiutò Claudia a sollevarlo.
Provarono pure a svegliarlo con degli schiaffi nemmeno tanto leggeri.
Giusto un rantolo catarroso.
Arrivarono alla macchina senza troppo
faticare. Alla fine il giovane si offrì di accompagnarla fino al
Pronto Soccorso.
“Grazie, se per te non è un
problema…”
“Nessun
problema,” e lo sistemarono sul sedile posteriore. Claudia percorse
tutta Via del Castello a velocità sostenuta e a colpi di clacson.
Una comitiva, ferma a parlare in mezzo alla strada, la costrinse a
fermarsi.
“Ancora
loro?” esclamò Claudia.
Tazio
si staccò dal gruppo e raggiunse il finestrino. “Tutto bene
Claudia?”
“Cazzo, Tazio lasciatemi passare.”
“Sì scusa, volevo solo dirvi se poi
passavate comunque all’Exit per…”
“Ma porca puttana Tazio, forse abbiamo
un morto e tu…”
“Perché
è peggiorato?” e a quella domanda Claudia sfrecciò via,
fregandosene dei quattro stronzi lì davanti. Il giovane seduto
accanto a lei rise.
“Che c’è da ridere?”
“Bel carattere…”
“Grazie.”
Al
Pronto Soccorso due infermieri dissero di non preoccuparsi, che
quella non era la prima volta che affrontavano un caso del genere.
Claudia avrebbe voluto sentirselo dire da un medico ma alla fine si
fidò.
“Magari lui avrebbe voluto morire, e
noi gli abbiamo guastato la festa…” si lasciò scappare Claudia.
“Può darsi. Lo riportiamo là dove
l’abbiamo preso?”
“Senti, vuoi che ti riaccompagni
all’Exit?”
“No, portami a casa. È meglio.”
“Scusami. T’ho rovinato la serata…”
“Fa niente.”
“Dove abiti?”
“Sotto casa di Tazio. Sai dov’è?”
“No.”
“Ti indico la strada,” e in poco
meno di dieci minuti furono davanti al suo portone.
“Eccoci qui. Grazie per il passaggio.”
“No, grazie a te. Grazie di tutto,”
quando si rese conto di non conoscere ancora il suo nome.
“Marco comunque…”
“Claudia.” Gli tese la mano e un
pensiero la punzecchiò. “Scusa, ma tu per caso scrivi?”
“Sì, ma come fai a…” Sorrise. “Ho
capito. Tazio?”
“Una volta mi accennò qualcosa
riguardo un certo Marco. Tempo fa, molto tempo fa…”
“Sì, diciamo che scrivo da un po',”
disse sperando di trovare altre parole utili da spendere.
“Giornalista col sogno di scrittore,” aggiunse.
“In bocca al lupo, allora.”
“Crepi,” disse Marco.
“Allora alla prossima...”
“Sperando
che sia meno tragica. Tu invece di che ti occupi?”
“Ho un negozio di ceramiche vicino Via
del Castello. Hai presente quel…”
“Ho capito. Sei quella con cui doveva
collaborare Tazio...”
Scoppiò a ridere. “Sì, credo di sì.”
E gli consegnò un biglietto da visita con l’indirizzo del negozio,
“…quando vuoi passa a trovarmi.”
“Domani. Senz’altro domani. Ciao,
buonanotte.”
“Notte,” e schizzò via, rossa e
tremante, con un groppo di contentezza in gola che attendeva da
almeno un secolo. Svoltò l’angolo con gli occhi ancora fissi sul
retrovisore, sull’immagine di Marco ora cancellata dalla curva.
“Lo
amo,” esagerò per la gioia e non fece in tempo ad accorgersi di
Tazio, lì da solo e di ritorno a casa. Lo prese in pieno senza
nemmeno avere la possibilità di frenare. Fece un volo di due metri
per poi arrivare a terra, a faccia ingiù. Quando camminava, Tazio
era solito tenere le mani in tasca e infatti là gli rimasero
costrette. Aveva il naso completamente polverizzato, il ginocchio
piegato in modo anomalo. E puzzava, puzzava proprio forte. Le viscere
gli si erano aperte controvoglia, come un rubinetto. Rivoltante. Le
gambe gli presero a tremare e Claudia, con le mani a tappare naso e
bocca, non seppe che fare. Stava per vomitare, così indietreggiò.
Lo sentì mugugnare qualcosa, qualcosa di completamente fuori luogo.
Qualcosa su un film che possedeva ma che non aveva ancora visto. E fu
lì che decise.
Saltò in macchina, mise in moto e non
ci pensò più.
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