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Il potere del mito, della narrazione, della storia. Ecco quanto è riuscito a trasmettere ai lettori Tea Obreht con questo emozionante debutto. Si parte dalle storie raccontate dal nonno, e il mistero che circonda la sua scomparsa (è andato a morire in un piccolo villaggio, lontano da tutto e da tutti) fa affiorare i ricordi e annodare fili che si pensavano perduti. Un esordio fortunato caratterizzato da una notevole capacità narrativa, che ha permesso all’autrice di essere la più giovane vincitrice del prestigioso Orange Prize.
Tea Obreht, L’amante della tigre, Rizzoli
Ci sono storie delle quali non potremmo mai fare a meno, storie che ci appartengono come un nome, un destino. Per Natalia, giovane medico in un Paese balcanico uscito dalla guerra, a contare soprattutto sono le storie che le raccontava suo nonno: quella misteriosa di Gavran Gailé, il mitico uomo senza morte; e quella della tigre di Galina, giunta in montagna dallo zoo della Città bombardata a terrorizzare o a sedurre le persone che incontra. E adesso che il nonno se ne è andato – andato a morire lontano da tutto e da tutti in uno sputo di villaggio di là della frontiera – tocca a Natalia provare a far luce sul mistero dei suoi ultimi giorni. E insieme riavvolgere il filo di quelle storie, per ritrovare finalmente il bandolo, doloroso e irrinunciabile, della memoria. “L’amante della tigre” segna l’esordio di una narratrice nata, capace di raccontare, con tocco leggero e una scrittura sensibile alle minime vibrazioni della realtà, cosa vuol dire vivere e crescere in un Paese che ha attraversato la follia e l’orrore della guerra civile. In corso di traduzione in 23 Paesi, “L’amante della tigre” ha conquistato la critica e scalato le classifiche internazionali, proiettando la sua autrice – la più giovane vincitrice nella storia dell’Orange Prize inglese – al centro della scena letteraria mondiale.
Altre tigri: animale fantastico, ha colpito la fantasia di alcuni grandissimi della letteratura: ne riportiamo qualcuno, cominciando con un breve passo di Borges, immaginandolo bambino “indugiare senza fine davanti a una delle gabbie dello Zoo”..
Nell’infanzia esercitai con fervore l’adorazione della tigre: non la tigre di pelo cangiante dei giuncheti vaganti del Paranà e del disordine dell’Amazonas, ma la tigre striata, asiatica, reale, che solo i guerrieri possono affrontare, sopra un castello sul dorso di un elefante. Solevo indugiare senza fine davanti a una delle gabbie dello Zoo; apprezzavo le vaste enciclopedie e i libri di storia naturale, per lo splendore delle loro tigri. (Ricordo ancora quelle figure, io che non posso ricordare senza errore la fronte o il sorriso di una donna.) Trascorse l’infanzia, declinarono le tigri e la passione per esse, ma son rimaste nei miei sogni. In quello strato sommerso o caotico dominano ancora, in questo modo: addormentato, mi distrae un sogno quasliasi e a un tratto so che è un sogno. Soglio pensare allora: questo è un sogno, una pura diversione della mia volontà, e giacché il mio potere è illimitato, susciterò una tigre.
Oh, inabilità! Giammai i miei sogni sanno generare la desiderata fiera. Appare, sì, la tigre, ma debole o smagrita, o con impure variazioni di forma, o d’una grandezza inammissibile, o in una visione fugare, o somigliante a un cane o a un uccello.
(da L’artefice, Adelphi)
VITA DI PI , YANN MARTEL, PIEMME
Un ragazzo e quattro animali alla deriva nell’oceano Pacifico, superstiti di un tragico naufragio. La loro sfida è la sopravvivenza. Tempo pochi giorni e, della zebra ferita, dell’orango e della iena non resta che qualche osso cotto dal sole. A farne piazza pulita è stata la tigre con cui Pi, giovane indiano senza più famiglia, è ora costretto a dividere i pochi metri di una scialuppa. Contro ogni logica, il ragazzo decide di ammaestrarla. Con l’ingegno, con la forza di uno spirito caparbio e visionario Pi affronta la sua grande avventura. Ed è un viaggio straordinario, appassionante e terribile, ispirato, spiazzante, ironico e violento, che trascina il lettore fino all’attimo in cui il sipario si leva sull’ultimo, agghiacciante colpo di scena.
BESTIARIO, JULIO CORTAZAR, EINAUDI
La scrittura di Cortazar affonda le radici nella precisione realistica. I vari quartieri di Buenos Aires, gli ambienti borghesi, le atmosfere familiari, i locali dove si balla il tango: il misterioso, l’irrazionale, il tragico germogliano dalla più corporea descrizione del quotidiano. È proprio lì che salti nel tempo, scambi di destini, apparizioni e stregonerie prendono forma e senso: la vita segreta di una società si carica di segni e tensioni inquietanti. Particolare suggestione ha il “bestiario” metafisico di Cortazar: animali invisibili, come la tigre del racconto che dà il titolo al libro, o immaginari, o creati dal nulla come i coniglietti della Lettera a una signorina di Parigi.
Il libro della giungla, R. Kipling, Piemme e altre edizioni
“Kipling sembra che sguazzi nel ribaltamento dei ruoli. Gli animali parlano, molti sono sensibili e solidali. Gli uomini hanno reazioni irrazionali e bestiali. Il ribaltamento dei ruoli è un ottimo allenamento contro il pregiudizio. Mowgli invita indirettamente i giovani lettori a sospettare degli accostamenti troppo facili: lupo-cattivo, serpente-vile, extraco-munitario-pericolo. Dopo oltre un secolo, Rudyard Kipling continua a educare così i cuccioli d’uomo.” (Dall’introduzione di Luigi Garlando)