Se c'è una cosa bella degli ospedali italiani è che sono democratici, accessibili a tutti, senza distinzione di classe o di ceto. Il sistema sanitario, la sua base almeno, è fruibile a chiunque: ricchi, poveri, italiani, comunitari ed extra, belli e brutti. I Pronto Soccorso - non dico le eccellenze, né parlo del problema delle liste di interminabile attesa, né delle file ai Cup -, i livelli di assistenza minimi qui da noi sono un diritto per tutti. E allora, quando vai all'ospedale è inevitabile immergersi in una realtà variegata e multicolore, anche per ciò che riguarda le tecniche di addormentamento utilizzate dai genitori di diversa nazionalità per i figlioletti ricoverati.Non sono sicuro veramente che il modo per far prendere sonno ai bambini piccoli, adoperato dalle persone straniere che ho incontrato, sia utilizzato anche nei loro Paesi di origine o se il 'copyright' sia un'esclusiva particolare dei diretti interessati. Ma quel che salta all'occhio è la diversità dell'approccio per ottenere uno stesso e identico fine.La mastodontica signora egiziana, vestita con foulard e cappotto anche con i 30 gradi che la temperatura nelle stanze raggiungeva - che aveva il figlio di due anni ricoverato perché aveva delle bolle sul palato e sulla lingua e che per questo non mangiava da una settimana - usava il seguente metodo: duettava una specie di commedia col bambino, nella quale lei diceva in arabo una frase, per esempio "A", a cui il figlio ne attaccava immediatamente un'altra, "B". Subito dopo lei ripeteva, con estrema calma, "A", irritando il figlio che ribadiva "B". Di nuovo "A" e ancora "B", a ritmo incalzante: da questo dialogo nasceva una cantilena monotona che andava avanti fino allo sfinimento, dopo svariate ore, presumibilmente del bambino. A volte, all'addormentamento partecipavano anche il marito della signora e il figlio più piccolo, ma solo come spettatori impassibili: dalle loro bocche, infatti, non mi risulta essere mai uscito verbo nel corso delle loro interminabili visite, che ignoravano sia gli orari di presenza dei parenti nelle camere dei ricoverati, che le più elementari norme igieniche e che sconsigliano la presenza di neonati (sani) negli ambienti nosocomiali.Se il metodo egiziano prevedeva un minimo impegno vocale da parte di madre e di figlio, quello bulgaro - praticato dalla mamma del bambino in ospedale per una gastroenterite e che dormiva nel lettino a destra di quello di Dodokko - si affidava alla 'tecnologia', ovvero alla tv. La signora aveva abdicato a immagini e a parole proprie e delegato ogni forma di intrattenimento allo schermo. Il risultato erano, almeno nelle sue intenzioni iniziali, cartoni animati trasmessi 24 ore su 24 allo scopo di rincoglionire, più che calmare, un bambino 'ipereccitabile' e che urlava al minimo, debole, dissenso della genitrice. I miei dubbi, se il nervosismo del fanciullo non dipendesse proprio dalla troppa televisione, vista - "perché è soltanto così che si addormenta" e "perché se la spengo urla" - fino alle due di notte, invece che da qualcos'altro, furono improvvisamente sfatati da un altro ragazzino - ricoverato per un'aritmia cardiaca e che dormiva nel letto a sinistra di mio figlio - e che, esasperato per non aver chiuso occhio la notte precedente, aveva 'sabotato', in un momento di disattenzione diurna, il telecomando della tv, scambiandone l'orientamento delle pile, non prima di aver impostato la televisione su una poco interessante rete culturale. Il risultato fu che sia la madre che il bambino bulgaro, dopo qualche protesta peraltro nulla affatto violenta, si addormentarono, il giorno stesso del sabotaggio, verso le 11 di sera, quindi ad un'ora in fin dei conti accettabile.L'ultima tecnica, l'ucraina, già la conoscevo perché notata in precedenza durante uno dei miei soggiorni in Irlanda, dove è, anche lì, ampiamente diffusa: consiste nello sbatacchiare il più violentemente possibile il bambino, preferibilmente neonato, all'interno del suo passeggino. Dopo aver imbracato il piccolo - ricoverato per una polmonite - nella sua navicella, la signora dell'ex Paese sovietico si recava in corridoio e iniziava a fare oscillare il figlio di sette mesi e che già pesava ben 12 chili (per fare un confronto, mio figlio, che non è magro e ha una costituzione normale, a quasi quattro anni pesa poco più di 15 chili). Lo scopo dell'addormentamento era presto raggiunto, in nemmeno 10 minuti - il tempo che una dose di sangue maggiore di quella normale affluisca al cervello - di vigorosi 'avanti e indietro', quindi la signora lo sollevava dalla culla e lo metteva delicatamente, con materna dolcezza, a dormire nel suo lettino. A volte, però, capitava che il neonato (un po' mi imbarazza chiamare in tal modo questa giovane promessa del wrestling) si svegliasse di notte. Nessun problema: il cigolio della culla, proveniente a notte fonda dal corridoio, era il segnale che la madre era tenacemente intenta a risolvere di nuovo il problema del sonno di suo figlio.