Svolgimento
L’isola dei cannibali, che si vede leggera all’orizzonte quando l’aria è tersa, non è molto distante da noi. Si raggiunge facilmente in barca a motore, anche a nuoto, per chi ha abbastanza fiato. Si chiama così, ma è disabitata. Non ci abita nessuno, da almeno un secolo, solo conigli, gabbiani e lucertole endemiche. Un tempo invece ci abitavano delle persone, c’era come una comunità di pescatori, che aveva colonizzato pian piano la costa, anche prima degli antichi greci. Forse profughi, in rotta con le loro mogli, che avevano puntato le prue verso il confine del mare conosciuto, avevano navigato per mesi, per anni, fino a incontrare la sagoma dell’isola. Era piaciuta subito, con le sue forme tondeggianti che emergevano dall’acqua, vi si erano stabiliti volentieri, finalmente liberi pescatori, eroi, navigatori, santi, poeti, e anche molto superstiziosi. Secondo la tradizione sin dall’antichità, per ogni nemico catturato celebravano una cerimonia speciale, opportunamente organizzata da un esperto che era nominato apposta. Era sempre un evento di grande risonanza, con molti invitati, la maggior parte non paganti e con l’appoggio economico di alcuni sponsor per coprire le spese. Venivano ingaggiati fior di consulenti per predisporre tutto, gente che aveva studiato diversi anni nelle migliori scuole dell'isola. In pratica, la cerimonia consisteva nell’appropriarsi dell’intelligenza, della conoscenza e dello spirito del nemico. E c’era un solo metodo per ottenere questo risultato: mangiarlo. Modi e ricette erano lasciati al gusto di ognuno, all’originalità del servizio catering o del padrone di casa, sulla base delle preferenze e delle abitudini di famiglia. L’importante era mangiarselo, perché non andassero sprecate e disperse nell’universo tutte le qualità, le memorie e le proteine. Poi, visto che sull’isola gli unici abitanti erano loro, si videro costretti a formare due squadre che potessero contrapporsi, sfidarsi e combattere. Dopo qualche periodo di baruffe per la scelta delle formazioni, raggiunsero un accordo e si ebbero finalmente nemici sempre nuovi e freschi, pronti per il consumo. Parallelamente, fiorirono attività commerciali che portavano sul campo nemici di varia pezzatura, già porzionati e speziati, ideali per uno spuntino veloce. Una legge appositamente promulgata ne garantiva la tracciabilità, la provenienza familiare, le qualità personali, le doti umane, il valore in termini nutritivi. In genere si preferivano nemici non troppo vecchi, ma già ricchi di sapere, per niente o poco bisognosi di frollatura. Particolarmente apprezzati divennero i neolaureati, ancora ricchi di nozioni, prima che le disperdessero nei pub dei venerdì sera.
L’intera faccenda della cerimonia iniziò a degenerare e si risolse in un rito consumistico, ogni anno sempre più esasperato. Non si guardava ormai il significato tradizionale, ma l’effetto dirompente dell’evento fine a se stesso. Una gara insulsa agli addobbi migliori, ai vini d’annata, al parterre più esclusivo. In una tale situazione di decadenza, cominciarono a verificarsi episodi di cannibalismo. Come quello emblematico del cameriere che, dopo aver riportato indietro per tre volte alle cucine lo stesso ragioniere, si avventò sul cliente insoddisfatto e arrogante, staccandogli un orecchio a morsi. L’orecchio del cliente antipatico fu solo l’inizio di una rivolta che si propagò a macchia di leopardo. Chiunque mordeva chiunque, si arrivò a non fidarsi più neanche del vicino di casa, e anticipare le sue mosse per renderlo inoffensivo, mangiandoselo. Tutti giocarono di anticipo, per una decina di anni. Nessuno si azzardava a chiedere l’ora, o un’indicazione stradale, c’era sempre in agguato qualcun altro, con sale e pepe, pronto a divorarlo. Questo succedeva fino a un secolo fa, sull’isola dei cannibali. Poi, quando il penultimo dei cannibali fu mangiato, l’ultimo di loro si decise di venire sulla terraferma, con la barca a motore, o a nuoto, smise di essere quello che era e raccontò tutto anche a noi.
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