Davanti a me, a fisarmonica, fila a perdita d’occhio.Sto lì, tra i 110 e i 130, appena più veloce delle auto in seconda corsia che sonoappena più veloci dei camion sulla prima. La piramide alimentare autostradale. Da Bergamo in poi si aggiunge una corsia, la mobilità sociale aumenta un po’, ma poco. Pazienza, zapping, telefonate e sms nei rallentamenti.Poi, a un certo punto, forse Dalmine, qualcosa entra nel campo visivo.Guardo bene nei retrovisori. Eccola lì. Lanciata, arrogante, abbaglianti a mitraglia. E il lampeggiante nell’abitacolo.
E’ lei: l’auto blu. L’auto che deve assolutamente passare.Le altre si scostano intimidite. Adesso è proprio dietro a me. Abbaglianti abbaglianti. Vedo che non è una: sono due. La prima ha il lampeggiante, quella dietro i vetri oscurati. Davanti la scorta. Dietro il Politico. Si avvicina quasi a toccarmi. Stavolta no. Stavolta non ti faccio passare. Ho appena finito di sentire i giornali radio. Devi andare anche tu in centro con la scorta a comprare le scarpe?
No. Non ti faccio passare. Vado anch’io a lavorare. E facciola coda tutti i santi giorni. Chi cazzo sei?Porcaputtana.Abbaglianti come fucilate. Clacson. La pressione aumenta. Non è così facile. Sudo freddo. Ma resisto. Tentano di passare a destra. Io accelero e li porto a bloccarsi dietro un camioncino.Rientrano a sinistra. I colpi di fari aumentano. Anche le mie pulsazioni. Lo spregio si abbassa e sale un po’ di panico. Ci sono degli agenti in auto. Vedo la scena che mi fermano, mi fanno scendere con la pistola puntata e mi mettono a gambe divaricate contro la macchina. Sto per cedere. Tengo duro ancora qualche centinaio di metri. Cuore in gola.
Poi mollo. Mi sposto. Mi divorano in un attimo, stringendomi anche, per farmi paura. Da dentro uno mi fa la mano a carciofo: ‘ma che cazzo fai?’. Io impassibile, occhiali da sole, guardo davanti a me. Il sereno cittadino che non teme niente. Sfilano rapidi, facendosi largo tra la auto davanti. Se avessi un siluro nucleare lo sgancerei adesso. Buuum. L’adrenalina mi scende lentamente. Per un po’ l’odio più assoluto. Poi il fastidio.Dopo una decina di chilometri, quasi non ci penso più.
Ma, guarda guarda, più o meno ad Agrate, eccoli di nuovo. Fermi in una piazzola d’emergenza. Nooo!Tutto sto casino per poi fermarsi?Ah, ecco: il Politico è fuori e sta telefonando. Gesticola. Una telefonata importante, in auto forse si perdeva il segnale. Deficienti, dico ad alta voce. Pensa che teste di cazzo. Mi sale ancora un po’ di scimmia. Siamo alle porte di Milano, e si rallenta. E a quel punto – non ci avevo pensato, ma era logico! – eccoli di nuovo. Ah ah ah ah!Sono ripartiti, hanno sorpassato, e si sono ritrovati me davanti.
E, sembra incredibile, ma stavolta, niente.Niente fari, niente clacson, niente gesti. Stanno lì, a 60 all’ora, dietro. Io dico che mi hanno riconosciuto, e il Politico ha detto: questo è la testa calda di prima, lasciate perdere. Tanto adesso usciamo. Sì. Dev’essere andata così. Stavolta ho vinto io. State lì dietro. Merde.Con le vostre A6 con i vetri oscurati e i lampeggianti blu.D’ora in poi, giuro, non vi lasceròpassare mai più. A costo dell’arresto.
Adesso sonoinchiodato al casello Davanti il solito terrificante ingorgo.Abbasso il finestrino elettrico della mia Q5 nera, e sputo la cicca, che rimbalza contro il new jersey. Fanculo.
Angelo Ghidotti