Un tempo tutti i giocattoli si aprivano in due. Due metà precise di latta, pressostampate, simmetriche, serigrafate solamente all’esterno, unite da linguette piccole, che si spezzavano in un attimo sotto i ditini di un bambino. Si aprivano come una noce, in due mezzi gusci. Uno era sempre vuoto, mentre l’altro, stupore, conteneva tutto il meccanismo, rotelle rotelline dentate, molle, ingranaggi, pulegge, piolini, gommini. Gheriglio meraviglioso di metalli luccicanti, sede misteriosa del movimento e degli scricchiolii e dei cigolii. Giocattoli antichi, affascinanti, a molla, a chiavetta. Si dava la corda, più o meno come a una sveglia, poi si lasciavano andare sul pavimento di graniglia e partivano come uno schizzo, ma sbandavano subito, quasi mai tenevano per bene la rotta, quasi sempre deviavano e si schiantavano sulle sedie e sulle gambe tornite dei tavolini, più raramente sui polpacci varicosi di mamme zie e nonne. Diventava allora desiderio impellente l’apertura del meccanismo, per un controllo dell’efficienza, per una curiosità inarrestabile. Forse nel tentativo goffo e presuntuoso di porre rimedio a quella labirintite meccanica da cui il giocattolo era stato colpito. Aprire, smontare due tre rotelle sarebbe stato più che sufficiente a sedare l’irruenza meccanico-scientifica infantile e probabilmente avrebbe messo fine alle penose scorribande a zig-zag di quella moto di latta. I giocattoli che un tempo si aprivano in due erano semplici, chiunque sarebbe riuscito a capirne e carpirne i segreti del loro movimento ciclico. Volta la testa, alza il braccio, gira la ruota colorata a bande, come l’insegna dei barbieri, che dà l’idea illusoria di rotazione, ma è sempre lì, perché sono le fasce di colore che si inseguono e l’occhio viene ingannato. Con quei giocattoli, tutti i bambini in età prescolare imparavano a usare le mani e svitare le viti minuscole con le dita tenere. Quelli invece che andavano già alla scuola elementare, al massimo alla prima media, scoprivano e ricreavano mondi stupefacenti in movimento, meglio che impararlo sui libri. Le relazioni, le rotazioni, le rotelle dentate, il fascino di vederle ruotare in sensi opposti, per concorrere al movimento generale della moto. Senso orario, senso antiorario, dentelli precisi che si incastrano, si spingono, si respingono, si separano, si abbracciano di nuovo, senza soluzione di continuità. Chi, come me, ha trascorso il tempo della sua infanzia giocando con quei piccoli capolavori di latta, è stato pervaso da un sentimento di profonda riconoscenza, insieme a un pizzico di nostalgia sincera, e non può fare a meno di plaudire con entusiasmo la scelta lungimirante del Ministero per le Semplificazioni Umane, che ha notevolmente agevolato la vita familiare dell’italiano medio, dalla procreazione alla gestione e all’educazione dei figli. Il Decreto Legge 2/2020 “salva-famiglie”, ha finalmente eliminato il caos delle code nei laboratori diagnostici per le ecografie, quei faticosi accoppiamenti eterosessuali a rischio di trasmissione di malattie veneree, giorni e giorni di travaglio lungo e doloroso, parti cruenti e sanguinari resi più pericolosi da medici senza scrupoli. Un grande risparmio in termini economia e di qualità della vita. Grazie al DL 2/2020, i nostri bambini adesso si aprono perfettamente in due. Due metà precise e combacianti, chiuse da linguette metalliche, a formare un guscio che protegge i precisi ingranaggi a molla di ultima generazione. Sono assolutamente funzionanti, in tutte le loro attività, sin dai primi giorni. Non sbandano né cigolano, non si inceppano, non fanno capricci, non ungono e non tagliano le mani. Tutto più semplice, tutto più facile. Grazie, ministro.