Anais...Anais...Aveva interrogato la cuoca in cucina, il giardiniere nel cortile, quello calvo e facile alla bestemmia che veniva tutti i fine settimana per le siepi di forsizia. Era passato sotto il grande ritratto in salotto, dove una cornice di noce sorreggeva una riproduzione della mia carta preferita dal mazzo Visconti: la papessa. Inganno, paura, volubilità, ambizione. Naturalmente per un uomo. Io ci vedevo solo una sintesi inconciliabile.
Sgranando le perle della collana presi l'ultima decisione: quella mattina non mi avrebbe trovata. L'avrei lasciato alle sue ingombranti voglie. Gli avrei preferito, nuovamente, i miei diari. Carezzai le serpi in marmo sul busto della Medusa che delimitava la mia scrivania e mi sedetti. Lacrime salate di sconfitta si cristallizzarono agli angoli dei miei occhi inquieti, impastandosi nel nero, steso con cura poco prima. Quella mattina avrei scritto il mio commiato ad un amante ormai inutile.
Desideravo essere trovata. Lui non ha capito nulla e ha continuato a chiamare imperterrito per altri minuti, liberandosi solo dai bottoni della propria camicia. Fino ad arrendersi alla sua età. Eppure più di una volta gli dissi che, se mi voleva, avrebbe dovuto tornare bambino, prima di starsene sudato col sesso in mano, ad evitare di sporcare le mie lenzuola fresche di bucato.
Sollevai uno specchio a manico e mi rifeci il trucco.
Gianluca Meis