Il mercatino del souvenir dietro la Cattedrale di San Cristobal de l’Habana attendeva sornione e paziente i turisti con dollari da spendere in oggetti inutili. Ci entrai dentro lentamente come in una piscina d’acqua fredda osservandolo prima dal di fuori in tutta la sua estensione e respirando l’odore di sigaro e legno intagliato che aumentava di intensità man mano che le infradito si facevano strada tra i banchi di paccottiglia esuberante.Era l’ultimo giorno di vacanza sull’ isola di Cuba e li avevo passati a rimpinzarmi di platano fritto, arroz e frijoles nigro e bevuto tanta Tukola . Prima di partire avevo intenzione di comprare qualche regalo da portare in Italia agli amici che avevo lasciato in Liguria a passeggiare sul lungomare mangiando tutte le sere un cono gelato fiordilatte gianduia e a prendere il fresco sulla passeggiata con i pensionati.Mi fermai in un banchetto a comprare tre paia di maracas con il manico in legno e la cassa in cocco inciso con il fuoco, roba kitsch forte. Piu’ avanti, due dipinti su sughero dai colori acidi che ancora giacciono arrotolati in un tubo di plastica che urla il suo disprezzo tutti i giorni , e infine tantissimi braccialetti e collane di semi per le amiche e sigari per i tabagisti. 1 dollar, tutto costava 1 dollar, anche i 20 sigari avvolti nella carta marrone da pacco scadente, in cui probabilmente c’era sterco di coccodrillo cubano.
Pagai le collanine e i sigari, alzai gli occhi, girai le infradito ma, attirata da uno sguardo piccante, tentennai nel proseguire. Una donna robusta vestita di chiaro, senza età color illy caffè mi guardò dalla parte opposta di una fila di improbabili statuette scolpite nel mogano che attendevano di trovare una casa dall’altra parte dell’oceano.Le sorrisi, mi attirò verso di lei parlandomi in spagnolo. Mi avvicinai chinandomi leggermente per capire meglio cosa mi stesse dicendo e in quel momento mi mise tra le mani una croce fatta con delle sottili bacchette di bambù tenute insieme da fili rossi di cotone, decorata alle estremità con piccole piume e semi rossi.Non capii e cercai di restituirla, non volevo comprare quell’oggetto. Insistette e con un gesto di sdegno rifiutò i dollari che cercavo di offrirle per quel regalo inatteso e strano che aveva qualcosa di inquietante. Ripetei mille volte gracias , stupita e turbata dalla croce in bambù: non ne avevo mai indossata una né mai ne avevo appese come simbolo religioso.Proseguii con la croce stretta tra il pollice e l’indice che rigiravo facendo vibrare le piume e mi chiedevo quale fosse il senso di questo regalo.Lo scoprii una volta arrivata nella casa particular in cui alloggiavamo. Era un oggetto della Santeria, una pratica molto diffusa a Cubauna sorta di religione legata ad antichi retaggi africani che prevedevano il sacrificio di animali per ottenere i favori divinatori. Solitamente galline che, una volta sacrificate, venivano fatte arrosto con le patate. Mi spiegarono che forse la donna color Illy caffe’ aveva riconosciuto in me una potente Santeros e forse aveva voluto farmi un omaggio per ringraziarmi o ingraziarmi .Non chiesi altro, la spiegazione era sufficientemente esotica da raccontare al mio ritorno dalle vacanze a chi mi avrebbe chiesto: “allora come è andata?”Riposi la croce in valigia avvolta nella carta del Granma, il quotidiano del regime cubano ,e la feci volare a Torino con scalo a Francoforte su un boeing.Dopo qualche giorno la mostrai orgogliosa a una persona legata all’ambiente esoterico torinese, e la prima cosa che mi disse fu: “ fai molta attenzione, è un oggetto pericoloso”Mi consigliò anche di purificare la croce avvolgendola in un panno scuro con del sale e bruciarla dopo qualche giorno per disperdere l’aura negativa che mi ero portata dall’isola. E aspergere l’incenso in tutte le stanze della casa per allontanare gli spiriti maligni.Non feci nulla di quello che mi suggerì. Buttai la croce nel cassetto della mia scrivania insieme alle collane di semi che mi ero tenuta anziché regalare.Ogni tanto la tiravo fuori e rigirandola tra le dita come fosse un antistress mi chiedevo cosa farne e a chi mandare una sfiga piccola e innocua. Ma le piumette si afflosciavano e i fili di cotone rosso sbiadivano.Decisi che era giunta l’ora di separarmi da Lei con un’ultima divinazione nel luogo più magico di Torino: il ponte di fronte alla Gran Madre, dove la leggenda narra che nei sotterranei sia costudito il Sacro Graal .Presi la croce e la misi in un sacchetto di tela sloggiando gli orecchini, lo chiusi stretto con un nodo che neanche un Santeros avrebbe potuto districare, e mi portai sul ponte Vittorio Emanuele I per gettarla nelle acque del Po pronunciando la seguente frase divinatoria:“Croce piumata che da Cuba sei arrivata, fammi mangiare senza ingrassare “
AW