Il treno mi porta via da tutto questo: dai ponti delle ferrovie per l'accesso al mare, le mareggiate, i vicoli che degradano dolcemente in lungomare. Tramonti dorati, rosati, talvolta violenti.
Il treno mi porta via e subito dopo la ferita non sanguina più.Devo andare via, là dove vorrei restare.Ci sono nuove case, nuovi approdi, nuove piastrelle rivestono piazze e passaggi.Lì apre un ristorante, vanno veloci, vanno lenti.Si fermano, poi ripartono, tolgono piatti, mettono piante.Intanto sudano.Vado via da sale ove mostre di dipinti, nei secoli o negli ultimi anni, affollano i ricordi delle volte antiche. Rifatte, restaurate come si doveva o come meglio si poteva. Per ricavarne profitto, dare lavoro alle maestranze locali.Cemento, calcestruzzi e infiltrazioni di mafia.Ma non qui, non qui. Orgoglio e miseria. Onestà.Accordi si, tra ceti gemelli.L'arte si mescola al denaro rimanendone illesa: nessuno la compra.
A me è andata bene. A te?
A me no, così, così. Terziario. Le mie ore e via.
Papaveri.
Sterpi sulle scarpate incolte delle ferrovie.
Papaveri.
Sono già lontana.
Cipressi piegati dal vento sfioccano le cime in rami solitari, che abbandonano la chioma.
Ho lasciato mio padre e mia madre.
Fiori dentro vasi appassiscono lentamente nel chiuso di caldi pomeriggi. Filtrerà la luce sul pulviscolo e in quel pensiero lei apparirà, radiosa.
Mi stringeranno.
Ho lasciato il mio pensiero dentro i fiori.
E intanto vado via.
Corre lento questo treno.
Non c'è un treno veloce che colleghi questo Sud. Quel Nord divenuto lontano, anch'esso Sud tuttavia, di tutte le Europe.
Corre veloce. Troppo veloce.
Tasse. IMU.
Luce sull'acqua.
Argentea mareggiata.
Papaveri.
Ginestre fiorite.
Siamo a maggio.
CLA