Roberto ha abbandonato la ciotola del latte e masticando le briciole sulle labbra scende le scale. Le briciole di gocciole paesaggi tropici sulla barba incolta. Si fa il solletico da solo. La mattina lascia il tempo per ostentare la pigrizia nei passi. La bocca canticchia i Foxhound. Il battito cardiaco asseconda il ticchettio delle lancette. Slega la bici per arrivare in fondo alla strada. I raggi del sole scendono dritti rasenti ai palazzi attraversano la sottile striscia di azzurro carico. I raggi assalgono le finestre disposte in ordine disordinato le piantine sui balconi borghesi ringraziano. Il ragazzo zizaga trafitto del sole canticchiando. Su e giù il pedale fino al viale, infondo più denso. I rumori tenui procede a naso dritto. La gente ha paura di buttarsi nel traffico delle strade di Torino. E' la prima cosa che mi sono sentito dire, al mio ritorno in città. Lei ieri è venuta in Aeroporto e la sento mormorare questa frase mentre salivamo le scale di casa. Questa frase non dovrebbe infastidirmi ma non riesco a non pensarci. Del resto non me frega un cazzo.
Sono le sei e quarantacinque, il cielo è terso ma è troppo presto per i risvegli in giacca e cravatta. Non è importante che ho ventiquattro anni, che è marzo, che è il duemiladodici. Il volo di ieri è stato orribile. A Vienna non ho fatto altro che bere. Non è il mio pedalare acrimoso. Il freddo di Torino mi ha imbrattato i jeans. Non è la macchia camicia che fino a pochi minuti fa era fresca e adesso è umida e stropicciata, non è lo strappo sullo scollo del mio cardigan.
Sembra più facile ascoltare quella frase sulla gente che ha paura del traffico che non il pensiero di Klimt che adorava l’utilizzo decorativo dell’oro. Mia sorella è bulimica.
Irene Dorigotti