Non aveva conosciuto la madre né lo zio e le immagini di quella parte di vita mancavano come acqua alla fonte; eppure lei n’era una traccia tangibile. Giovanna era lì grazie a sua madre, suo padre era lì grazie al fratello che gli aveva salvato la vita offrendo la sua. Né l’odio irrazionale né l’amore temerario avevano impedito, dunque, il miracolo della sua esistenza. Ed a quel miracolo Giovanna sentiva adesso di dover dare un senso, rintracciando magari la terra dove lei era già stata concepita insieme al progetto di una vita diversa. Aspettava ancora la seconda valigia ed in testa aveva il rumore della pioggia che aveva sentito per tutta la vita. Uno scroscio assillante che dava troppa voce ai tetti spioventi e, con il vento, perfino la parola ai fantasmi. Primi fra tutti lo zio e sua madre.Le nuvole bianche, nei giorni migliori, erano state la carta lontana sulla quale aveva scritto tante storie con gli occhi. Le nuvole nere erano state lavagne tracciate col gesso, ricaduto, ogni volta, su di lei come neve.Nell’ultimo tratto di volo aveva visto appezzamenti di terra color tabacco e montagne senza una macchia di verde, oppure con qualche chiazza, sparuta e sbiadita, ma sempre montagne stranamente celesti. Non più il cuscino di rami, rigidi, nascosti da foglie di un cupissimo verde. Tutto era accerchiato dal blu, ne distingueva la misura coi palmi di un sentimento; in gola il fiato sospeso, nel petto una gioia recondita e per questo profonda ed immensa, più del mare lì sotto. Non più il verdastro Danubio raggiunto dal Regen. L’aereo era sceso di quota e la pista, infine, aveva incollato lei alla terra di suo padre, come due calamite.Ecco cosa era venuta a fare, riconquistare due zolle di terra per piantarci la sua anima bianca e l’aveva capito, finalmente, atterrando sopra quel tramonto color zafferano e guardando quelle facce pronte a guarire.
La seconda valigia è arrivata.
Fuori dall’aeroporto l’abbraccia l’aria calda di luglio, la stessa, che attraverso i racconti, l’aveva scaldata nei giorni più freddi. Vede l’omone a dieci passi da lei, si scambiano un breve saluto con un cenno di capo e mezzo sorriso. Era partita senza salutare nessuno, qui già saluta qualcuno. Vede quattro sconosciuti abbracciarsi, si sente lì in mezzo, tra loro. E’ strano, è contenta anche lei per quegli abbracci, non si chiede neppure perchè. Non sente più la pioggia dentro le orecchie, ma sente suo padre accarezzarle il viso, la mano calda, un soffio di scirocco. Con un gesto istintivo alza gli occhi cercando una nuvola bianca, è un tuffo, magnifico, dentro la pagina nuova. Qualcuno la urta col gomito, le sorride e si scusa e Giovanna adesso ha capito che anche l’abbraccio verrà.Adelaide Pellitteri