Si, propro a lui, che nessuno riusciva a turbare. Era avvezzo al pericolo, gli occhi brillanti, in quei momenti, saettavano fulminei. Una luce dorata li attraversava mentre la mente concretizzava azioni rapide e precise. Grande fama di seduttore, Don Matìa, la fronte ampia e gli occhi animati.La belva sopiva in lui. Una forza della natura che si perdeva e riprendeva, in un continuo scambio di vigore e tempra coi boschi in cui si spostava, protetto da quei luoghi invisi ai più. Era molto temuto.Amato dalle donne e odiato dai mariti, resi cornuti con maestria.Da prenderci il caffè prima, durante e dopo. Non si capiva come, ma le donne non gli resistevano.
Don Matìa controllava tutto e tutti.Risaliva a cavallo le trazzere confinanti con i poderi dei nobili che proteggeva, la doppietta tirata sulla spalla, le vettole piene di pane, formaggio e altro companatico. Si fermava nei boschi, nei casini di caccia dislocati tra i feudi, fiutando tutto e tutti.Nell'attesa in cui sudava il fiato, nella frescura di quella mattina, rimurginava pensieri su pensieri.Due mesi prima un picciotto si era presentato al baglio in cui teneva le pecore. Si annunciò con due fischi. Lunghi intercalati da una pausa. Allungò il passo e rispose con lo stesso fischio.'U picciotto lo conosceva bene, lo aveva visto nascere. Peppe chi mi cunti?Don Matìa c'è novità. Passano di ca' i miricani e tale passaggio vossia l'avi a ffari passari.Figghiu miu accussì mi dici?Si... venunu ri Palermu, quanti non si sa. Ma hannu a passari, facili, facili.I nostri su d'appressu. Avanti, araciu araciu 'ncosta, senza farisi addunari, e puru d'arreri. Vossia s'avi apprisintari 'o capitanu. Un bravu picciotto. Assicurato.Cu voli accussì?Amici d'America.Maria era d'ammucciari e Lucia e i picciriddi nichi e puru armali.Si levò la coppola e si passò una mano tra i capelli. Gli occhi azzurri erano pronti, già scrutavano il piano e le difficoltà. I pericoli: attacchi, imboscate, sabotaggi.I cani abbaiarono per radunare le pecore che spinse oltre il crinale, oltre la visibilità degli avamposti.Un fischio sempre uguale: due lunghi intercalati da una pausa squarciarono il silenzio dell'alba.Aguzzò gli occhi e intravide tra il fogliame che infoltiva l'argine del fiume, Peppe.Gli veniva incontro lungo la ciumara, la doppietta poggiata sul braccio da cui pendevano le canne, il colpo pronto, ma messo in sicura dal cane staccato.Si intravedeva appena, silenzioso come un gatto.I richiami dei volatili acquatici avevano doppiato il fischio e una gazza si era alzata in volo come un segnale.Arrivano.Peppe colpo in canna e occhio.Don Matìa, nenti, nenti. Non c'è pericolo.Occhiu Peppe se c'è pericolo veni di supra. Buttati subito alla macchia e mastica terrenu. Sta guerra nun è nostra.E vossia? U figghiu turnau?Mauro no, non turnau. Ma iddi passanu e torna. Picchi 'a guerra finisci 'ca.Udirono uno scarto, un brontolio che veniva da lontano come in fondo allo stomaco vuoto. Dapprima lontano, poi sempre più vicino e nitido.Due blindati con la compattezza del ferro, lasciavano intravedere appena gli elmetti a rete, sulla torretta. Eccoli qui i miricani.Passarono sul ponte lentamente e niente. Niente. Niente accadde.L'ultimo convoglio che chiudeva la colonna era una macchina aperta. A bordo il capitano.Accostò appena vide la coppola in aria di Peppe.Lo sguardo azzurro, gelido, incrociò quello di Don Matìa. Questi mise in sicura il fucile che abbandonò penzoloni sul braccio e ripetè le due parole convenzionali che aprivano l'incontro:Brooklyn saluta. Ma disse come sapeva dire: Brucculin saluta.Brooklyn saluta.Don Matìa rivide per un attimo il ponte, i ferryboat che risalivano l'Hudson verso Manhattan, i controlli, l'abbraccio con gli amici, il saluto precipitoso che lo separava da Lucia.Nemmeno un saluto a Lucia, sua moglie, in quella partenza precipitosa, destinata dal fato e dagli eventi.I carabinieri del prefetto Moro mettevano a soqquadro la Sicilia. Rovistavano i granai, le stalle, gli ovili.Non un abbraccio ai bambini, un bacio, non c'è tempo. Non c'è tempo. Né cuore.Lucia parto. Scappo in America. Lui sapeva scrivere, era istruito, aveva fatto la quinta. Non era analfabeta. Lucia non ti posso spiegare. I carabinieri mi cercano. Vengono a casa e tu non devi fare capire niente. Nascondi i bambini. Lucia si butta lo scialle sulle spalle e corre al ponte. Scende le rasule, di corsa, affannata, si strappa, ferisce per vederlo passare. Ma mentre le si sciolgono le trecce dal tuppo, e suda da capo a piedi, capisce che li avrebbe portati al marito questi carabinieri di 'mmerda. Si lascia cadere sconfitta. Non lo vedo, non lo vedo, dispera.I bambini oddio, piange.Le mani sul viso sporche di terra asciugano le lacrime e sporcano di fango. E i capelli, anche quelli, rimettiti in ordine, Lucia. Accovacciata col cuore in tumulto. Lucia non piangere. Non devono capire niente.Il biglietto lo mastica lentamente con le lacrime. Lo inghiotte. E lui passa intanto. Addio Matìa.Addio Lucia.Vennero i carabinieri. Nessuna lacrima. Fecero tante domande. Lei nascose i bambini: tutti da sua madre. Io chi ni sacciu? Nenti, nenti sacciu.Nessuna lacrima.Brooklyn saluta.Scese l'ufficiale, gli chiese: una foto per favore.Don Matìa in posa accanto all'ufficiale, non sarà mai tanto preoccupato come in quella foto.Con il capitano miricanu.
Clotilde Alizzi