Adoro la piazza, tutte quelle persone che passano, che si divertono, che ridono, tutte quelle coppiette intente a baciarsi e amarsi. Non smettete mai di farlo, siete il mio speciale live, il film che va avanti da una vita che non mi stufo mai di guardare. Poi la vedo, eccola, la mia dose, cammina piano, passo dopo passo, con i suoi sessanta e rotti anni e con le borse della spesa piene. La seguo, non mi faccio notare, assaporo ogni momento, assaporo ogni attimo. Il seguire qualcuno è segno di amore. Io nutro per questa persona l’amore più grande, se ora le accadesse qualcosa la difenderei. Devo essere io, quello che deve far succedere qualcosa. Sta per entrare in casa, è sera, è buio, tutte le luci sono spente, lei è da sola. Io sono solo. Non mi faccio vedere, spalanco la porta, mando la vecchia per aria con tutte le borse della spesa, si rompe un vaso di fiori, acqua ovunque. Richiudo la porta dietro di me e accendo la luce, voglio che mi guardi in faccia, voglio che sia terrorizzata in piena luce. Le tenebre e la luce sono la stessa cosa. Si muore al buio, come si muore in pieno sole. La vecchia si trascina, è confusa, non capisce, sente il male, sente il dolore, sente di volere vivere. Come Puzzetta, anzi, più di Puzzetta. La giro a pancia in su con un piede e con lo stesso piede le tirò un calcio alla gamba, sento crock. Il femore, l’osso più lungo del corpo umano, l’osso più duro del cemento, è in pezzi, è in frantumi come la speranza della vecchia. Vado in cucina, apro il frigo e apro una birra. Guardo il calendario appeso alla parete e vedo che il giorno di domani è segnato da un cuore. La vecchia aspettava ospiti, per questo aveva le sporte piene. Scolo la birra con un sorso solo e faccio cadere la bottiglia per terra. Va in frantumi, come il femore, come il vaso, come la speranza di farla franca.La vecchia piange, di dolore, di tristezza, di morte. Mi chino su di lei e le lecco via una lacrima, adoro le lacrime, non sono solo acqua salata. C’è di più, molto di più. Mi concentro sulla borsa della spesa, è piena di roba, formaggio, verdura, carne fresca. Sarebbe stato un bel pranzetto domani, con tutti i tuoi figli, con i figli dei tuoi figli. Ci si sarebbe riscaldati il cuore per un altro giorno vero? Invece no.Nell’altra borsa c’è un pacchetto regalo, sopra ci sono dei coniglietti e delle paperelle. Lo apro e dico alla vecchia che non si doveva disturbare a farmi un regalo. Lo apro e vedo che è uno di quegli aggeggi che si mettono sulle culle per far giocare i bambini, con i dadi, le forme e tutto il resto. Lo tiro fuori dalla scatola, è molle ma i pezzi sono plastica, guardo la vecchia e mi metto in ginocchio di fianco a lei. Vorrei dirle addio, vorrei dirle che lei è stata una delle persone più importanti della mia vita. Vorrei dirle che la amo e che se ci fosse un desiderio da esaudire, lo esaudirei come le sue ultime volontà. Ma non dico niente, la guardo negli occhi e aspetto che la sua luce si spenga. Uso su di lei il gioco che aveva comprato per il nipotino, come un mazzafrusto, diritto in faccia. Una volta, due volte, tre volte, quattro volte. Alla quarta volta la vedo sputare dei pezzi bianchi, la dentiera era in frantumi, come la bottiglia di birra, come il femore, come il vaso, come la speranza di vedere i nipotini domani. Cinque volte, sei volte, sette volte, otto volte, nove volte, dieci volte, undici volte. Ora non si vede più un occhio, è immerso nel sangue, nel suo sangue. Dodici volte, tredici volte, quattordici volte, quindici volte, sedici volte, diciassette volte, diciannove volte, venti volte, ventun volte, ventidue volte. La vecchia non sembra respirare più, ma vado avanti, mi sto divertendo. Ventitre volte, ventiquattro volte, venticinque volte, ventisei volte, ventisette volte, ventotto volte. Sangue ovunque. Basta, mi fermo. Mi alzo, torno in frigo a prendermi la seconda birra e butto il gioco nel lavabo. Apro l’acqua e la lascio scorrere su di esso. Esco dalla porta sul retro. Non mi interessa più la vecchia. È morta, e i vivi sono la mia dose. Cammino per le strade buie, mi sono appena fatto una dose. Ne voglio un’altra. Mi sento solo, voglio farmi. Solo un’altra, l’ultima, poi basta. L’ultima. Poi basta.
Andrea Knulp