E’ felicità adesso quella che passa da nord e sud del mio corpo, quella che va dalla punta dei capelli che mi sono rimasti alla punta dei piedi che hanno macinato chilometri per soddisfare le sue continue pretese. Filippo devi andare all’esattoria, compra il pane, corri al paese qualcuno ha dimenticato la luce accesa al villino. La spazzatura che mi gocciola sul pavimento. Filippooooo!!!! Neanche in ufficio avevo pace, anche se raramente mi telefonava, usava mia moglie, ops mia? Io non ho mai posseduto nulla, è meglio dire sua figlia.
Le ricarico il telefono, le prenoto le visite, vado in farmacia. Ho avuto la sua bocca finta tra le mani, quando ho ritirato un giorno la sua schifosa dentiera riparata. Adesso lei giace fra trine e merletti funerari e il suo viso vecchio conosce una serenità quasi oscena. Ma come cavolo avranno fatto a distenderne il ghigno? Si lo so, state pensando: la solita storia, il genero che odia la suocera. No, non potete neanche immaginare quanto io la abbia odiata. Sono stato forse troppo educato, un fesso direte voi. Non mi sono mai ribellato. Ho obbedito come un cagnolino tirato a destra e a sinistra quasi strozzato dal guinzaglio. E per cosa in cambio? L’amore di mia moglie? Forse un briciolo di riconoscenza? Nemmeno per sogno, era tutto dovuto e così sono divenuto lo zerbino di tutta la sua famiglia. Si sa se il muricciolo è basso, tutti provano a scavalcarlo. Lo so la colpa è anche mia, ma che volete mi hanno educato al rispetto, mi hanno rovinato sin da piccolo. Non ero un gran partito, so anche questo. Impiegato modesto ma stipendio sicuro, alto e di gradevole aspetto La mia signora stava invece abbattendo la barriera dei trentacinque anni, non era più un tenero virgulto, benestante però, ecco sì, quello parecchio e non guastava per nulla. Lei doveva correre ai rimedi, anche accontentarsi, io ero stanco di quadrare la lira. Però farmelo pesare ogni santissimo giorno che io non ero all’altezza. Così lei la dolce suocera era sempre più guasta, più acida di aceto inacidito, più velenosa di una vipera cornuta. “Murio!” Io quasi sono svenuto quando ho capito che era agli sgoccioli, mi sono dovuto organizzare scendere giù in cantina nel misero sgabuzzino che mi era stato concesso dove giacciono i cimeli della mia vita precedente. Poi ho cominciato a lacrimare come una madonnina miracolosa, bastava solo nominarmela, e sono divenuto più inconsolabile di quella megera di mia moglie. “Era come una madre per lui”. Ripetevano le vicine in coro prefico. “Quanto la rispettava, non sapeva dirle di no” Non potevo dirle di no. Il dispiacere è stato grosso. Non ha neanche la forza di muovere un passo “mischinu.” Io sto sprofondato in una poltrona, la preferita di mia suocera e indosso un lungo soprabito scuro, così come usa qui da noi. Il dolore ci ammanta di nero. Aspetto. Aspetto che sigillino la bara che la fiamma ossidrica faccia il suo lavoro. Voglio respirare i vapori di zinco e partire per un viaggio ellesseddiano. Ho già fatto i miei piani, proverò ad alzarmi per baciare la marmorea fronte ma le gambe non mi reggeranno e mio malgrado non potrò assistere allo strazio della sepoltura al cimitero. Andranno via tutti ed io resterò qui solo. Aumento la potenza delle lacrime riesco persino a singhiozzare senza strozzarmi dalla soddisfazione. Ecco già la folla si dirada. Sono sciamati via come formiche vestite a lutto verso la zuccherosa tumulazione. Sono solo. Con un gesto secco mi levo il cappotto lo lancio, mi raddrizzo, con l’altra mano asciugo il volto dalle lacrime e mi allargo in un sorriso enorme. Guardate il mio completo bianco: giacca e pantalone, la camicia nera dal colletto a pizzo, tutto meravigliosamente stirato. Salgo su una sedia, appendo il globo stroboscopico che aspettava quest’occasione da anni, mi osservo rifratto nei minuscoli specchietti, quanti “me.” Spengo le luci, accendo i faretti, lo stereo è pronto. Pigio il tasto. La musica degli anni della mia libertà oggi ritrovata irrompe quasi a spaccare i timpani, non c’è nessuno, sono free di ballare e cantare a squarciagola e lo faccio come un animale liberato da una tagliola inciampo all’inizio, poi mi sciolgo salto, piroetto, faccio le mie mossette alla Tony Manero, ma quanto mi piace il ritornello: Stayin alive ah ah ah “ io staiyng alive, staying aliveeeeeee!
Adele Musso