Svolgimento
Rosse talvolta color tortora. Non capisco come mai me le comprarono ambedue. Non si può. Tutti i capricci esauditi. Ero davanti ad uno scoglio. La domenica pomeriggio andavamo al cinema, avevo un maglione aragosta. Il colore era aragosta intenso, non salmone, né fucsia. Aragosta. Vellutato come le mie guance, tonde, rosate e poi arrossate dal calore prodotto dalla lana, dal calore degli ambienti affollati, pieni di gente, al buio di sale cinematografiche.Le risse dei gladiatori, i ruggiti delle belve, i cristiani crocefissi mentre fuochi bruciavano dappertutto, bracieri, tra le croci dei condannati, davanti agli altari degli dei immortali. I dialoghi degli attori della celluloide, i film comici e i film d'epoca romana, nient'altro. Se cambiava il genere restavo fuori dai dialoghi e dalla storia. E la risata di mio padre faceva eco a tutto. Alle risate e anche ai momenti di crisi, alle lacrime, ai capricci, ma era difficile non esserne contagiati.Tenevo sette anni. Camminavo con scarpette di vernice, talvolta rosse, talvolta color tortora. Avevano un pon pon di lapin in tinta proprio al centro. Era il tempo delle scarpette e delle mutandine di pizzo, velate davanti e affollate di merletti dietro rendendo tanto eleganti quelle bambine di pizzi e rossetti rubati. Di smalti sulle dita piccole e unghia microscopiche, nastri, treccine strette e tirate su da fiocchi enormi. Sono davanti allo scoglio. Ha la forma esatta che mi aspetto. La solita e se cerco di capire perchè mi sia tanto familiare non ho risposte da darmi. Mi è familiare. Ha una cresta tozza che si inalbera sulla parte più alta poi è strozzato quasi al centro. Sono tante scaglie laviche levigate che si susseguono. L'aria ha il sentore di mare, di gabbiani, di pesci andati a male, di escrementi lasciati colare sullo scuro marrone arroventato dal sole. Lo scoglio è affondato, adagiato su fondale alto quanto basta, di sabbia, e acqua chiarissima. Aspiro l' odore forte di mare, intenso e misto a alghe, gabbiani ed escrementi. E mi porto intorno al versante nord. Lì un' insenatura piccola, suggestiva, tempestata da piccoli molluschi che ne imbiancano il bordo, da alghe, da muschi. Immergersi è una festa di colori, l'azzurro dell'acqua, la miriade di pesci: azzurri, verdi, giallo-verdi, sole e ombre che dall'alto proiettano sul fondo la rupe sormontata dalla cresta rocciosa. Poi dai ricordi emerge il volto di mio padre e la sua spazzola di capelli ricci, morbidi, neri, come un colbacco sulla sommità della testa. I suoi capelli sono la sommità dello scoglio. Ne aspiro il profumo, sono a casa.
Dopo la passeggiata con una 1100 bianca per alcuni paesi dei dintorni approdavamo lungo una riva di scogli, neri, placidi contro la superficie liscia del mare. Nell'ora del tramonto erano galleggianti su un'acqua oleosa, quasi bianca. Li guardavo con scarso interesse, non erano un luna park, una giostra o un autoscontro, con gli aeroplanini che arrivavano in aria e poi si alzavano e scendevano senza troppi brividi, ma allettanti per un briciolo di emozione.Poi si tornava verso la piazza del paese. Era una tappa dovuta, obbligata. In fondo, in un angolo estremo lontano dallo struscio, si accedeva attraverso una porta a vetri opalinata ad una sala biliardo da cui ci deviava in fretta mio padre, spingendoci verso il bancone del bar. Acque gassate, vetri e bottiglie di liquore facevano sfondo ad una donna di certo gioiosa, rotonda e morbida come le grosse palle unte e caldissime in cui affondavamo i denti. Le arancine di riso e carne di questa signora dalla mille morbidezze era la goduria infinita in cui mi perdevo tutte le eleganze, il profumo di cibo si appicicava financo ai capelli, scacciava l'acqua di colonia e il profumo buono degli abiti puliti, del bagno domenicale. Che ci stavi da Dio dentro a quell'involucro di pelle nuova pulita e levigata.Poteva chiamarsi Bar Sport, o non ricordo il nome. Poi scendevo le scale del cinema nel buio nel fumo di sigarette densissimo. La risata di mio padre come una coperta.Erano i tempi della vespa, della cinquecento, della seicento, della 850. Su tutte troneggiava la 1100, la familiare .
CLA