tempi Brasil /1: Vasto

Creato il 18 marzo 2012 da Ilpescatorediperle
Una settimana qui non basta a raccapezzarsi - nemmeno a tenere a mente il proprio indirizzo, che infatti non so ancora. Una settimana qui, la prima, è un vortice da cui ci si fa più che altro trasportare.Ieri però ho posto quella che è diventata, nei miei soggiorni esteri, la pietra angolare: per la prima volta ho cucinato (italiano, ça va sans dire) per tutto il gruppo. Il che vuol dire: forse ci siamo.Così, dentro il vortice, inizio a fissare qualche frammento di quello che vedo mangio ascolto dico. Il mio sguardo è senz'altro ingenuo. Perché è il mio, innanzitutto; e perché questa è una collana di prime volte da sgranare, come gli occhi, ad ogni momento. Insomma, è probabile che non andremo molto più in là di un Syusy Blady-Patrizio Roversi dei poveri. Ma in questa assoluta mancanza di precondizioni che è l'ingenuità, forse passerà qualcosa che sfugge al disincanto. Ci proviamo. Provarci ha sempre voluto dire: usare aggettivi.Dunque: vasto. Arrivato a São Paulo in una mattina nebbiosa, dopo due ore di coda per un timbro poliziesco, raggiungo la povera Madalina che mi aspetta da quasi cinque ore e partiamo in autobus per São Carlos. La prima cosa vasta, forse, è l'umidità di questa fine d'estate che, ci dirà più tardi Debora, è più calda del solito. Sono già stanco, le valigie già pesano, già nessuno parla inglese ma in qualche modo siamo sul pullman. Che è molto più comodo della classe economica di Iberia che è stata un po' come prendere Ryanair per farsi un viaggio di 11 ore. Ci accomodiamo e si parte.
São Paulo la scopriamo, per ora, così, con gli infiniti palazzi di cemento talvolta larghi come un appartamento, costruiti e in costruzione, le sopraelevate e i fiumiciattoli bigi che si fanno strada tra la vegetazione. Sembra La città che sale, anzi lo è. E la cosa più vicina che mi viene in mente sono, non so come, certi quartieri cementificati di Palermo. Ci vuole molto per uscire dalla città, e già eravamo ai bordi di periferia. Vasti quartieri in costruzione ovunque, già battuti dall'arsura prima di essere abitati. Accoglieranno chi? Gente che emigra dalla campagna, stranieri in trasferta? Chi saranno i neopaulisti? Noi, forse?Ma siamo finalmente fuori dalla metropoli. Campi ovunque. Fazendas, probabilmente, ma anche colline incolte, cespugli, verde, in ogni caso. Verde a perdita d'occhio, che ti suggerisce con la sua misura, come la siepe leopardiana, lo smisurato che è là. Che è sempre , perché ti sembra di non arrivare mai ad abbracciarlo, o anche solo di spostarti davvero. È così vasto che quel che ti circonda ti colpisce come uno schiaffo. Ce la faremo a trovare un punto fermo in tutto questo, o naufragheremo tra gli aranceti? Il pullman continua la sua corsa per varie ore. Anche il tempo qui è vasto, e, come avremo scoperto ben presto, la misura di tutto questo, se c'è, è l'attesa (che rimando ad un'altra puntata).Vasto dunque è ciò che, più che distinguerle, accomuna città e campagna, verde e cemento. Vasto, smisurato,  e, par di capire, solo all'inizio. Un'estrema riserva di potenziale che, in Europa, vediamo ormai solo, mi pare, in alcune zone depresse e però lussureggianti come certo nostro Sud (e siamo già a due riferimenti al Meridione italiano. Dovrò cercarne il motivo). Ma l'autobus è anche convenzione, e così non c'è molto da scoprire lungo le autostrade. Sarà soltanto qualche giorno dopo che una gita in Jeep organizzata dai miei coinquilini per portarci a vedere delle cascate (alla fine non le alte cascate promesse bensì un piccolo dislivello, ma non importa) permetterà, in quella vastità, di entrarci. L'infinito sterrato che dà il ritmo, divertente e sobbalzante, al nostro percorso, impedendo a me, Wawrzyn, Madalina, Pierre e Sebastian di fare qualunque foto a meno di fermarsi (là dove i cani sciolti dei fazendeiros ce lo permettono) ci conduce all'interno, sempre più lontano dalle strade comuni. La foresta si alterna ai campi incommensurabili e alle casupole a mattoni ed è interrotta ogni tanto da massicci squadrati. Non sappiamo dove siamo, siamo nelle mani dei nostri amici, e chissà quando arriveremo. Ma la relativa delusione della meta di cui sopra rende il viaggio il vero obiettivo. Ogni tanto vediamo animali per noi inediti, che i nostri compari additano con nomi in portoghese che non ci aiutano molto a decifrarli. In particolare, vediamo degli uccelli simili a fenicotteri, placidamente vaganti sul ciglio della strada. Si diceva quale sarebbe stato il punto di riferimento. Il punto di riferimento è São Carlos, che non è vasta per niente e che, dopo qualche giorno, s'impara a percorrere. Più difficile sarà imparare a capire e a valutare, sempre che ce ne sia il bisogno, quello che vediamo, che dà un'idea differente a che cosa sia una città. Ma vasto è senz'altro il campus, da cui si entra per un accesso che è una felice sintesi tra il casello di Mestre e l'ingresso di Jurassic Park. Immersa, a sua volta, nella foresta, l'università ci accoglie, con profonda indolenza. Ci vorranno settimane per avere una tessera studente e dovremo anche recarci in una città vicina per registrarci alla Polizia Federale. Ulteriore pratica, resa ancor più lenta dal fatto che il sito ad hoc va continuamente in tilt, che è inaspettata e pure un po' irritante, visto che, non so voi, ma a me l'idea di dover pagare una tassa, come dovrò fare, alla polizia brasiliana, non sconfinfera particolarmente.Ma questo sarà in un altro momento. Per ora siamo arrivati, e occorre trovare un proprio ritmo. Specie per me, che ho dei tempi penso abbastanza opposti a quelli di questo paese (per dire, qui tutti dormono e io sono già in piedi da quattro ore). Studiare le cose che ho programmato di studiare qui. E studiare una propria misura in questo vasto senza misura - e non ho ancora visto l'oceano.
da TEMPI FRU FRU http://www.tempifrufru.blogspot.com

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