Per una persona che avrebbe gli orari e la rigidità di un Immanuel Kant o anche solo di una Bree van de Kamp, tutto ciò rappresenta una prova assai ardua. Ma, vista anche la relativa eseguità del tempo che mi è dato permanere ivi, si tratta piuttosto di un toccasana. Che riguarda, appunto, il peso.Questo blog, come sapranno i miei due-tre lettori, mette le mani avanti: il redattore si autodefinisce orgogliosamente un noioso. La pesantezza fa parte integrante del suo modo di essere - di scrivere, se non altro. Ma davanti a quanti mi prescrivono ricette per l'osteria della leggerezza, che siano à la Italo Calvino o à la Paolo Bonolis, ora posso sventagliare un fitto registro di passi in avanti sulla strada del que sera sera.L'imponderabile, dunque. Si parlava di coinquilini. Non vi ho ancora detto che ieri si è aggiunto un nuovo roommate. Si tratta di un cane. Stamattina cercavo di forzare la porta del terrazzo per ritirare le mie cose per il nuoto ed ecco, la porta non si apriva. Come mi spiegò più tardi uno dei miei compagni di republica, ciò era dovuto alla permanenza sulla balconata di un bulldog "di amici". Ma ecco che le versioni cominciano a moltiplicarsi. I miei colleghi sostengono si tratti di un cane del compagno di repubblica di cui sopra. Poco fa, rientrando, il cane era ancora là, e soprattutto dotato di ciotola. Insomma, il caos non ha fine.Un cane sembra qualcosa che eccede ogni possibile tolleranza. Eppure anche a questo mi sono abituato. La citta è piena di famiglie cinofile, dotate di uno o più botoli. Ma ancora più imponderabile è il fenomeno dei cani stradali, segugi in cerca di non si sa che, che affollano i marciapiedi e che spiegano, forse, perché nel mio quartiere, assai modestamente servito, ci siano più negozi di prodotti per animali che supermercati. Questi quadrupedi sono comunque assai mansueti, tant'è che pure un ex bambino morso dal suo cane come sono io può farcela a dribblare per raggiungere decisamente la sua meta.Ho imparato, sto imparando a non dar peso a ciò che in Europa mi inquieterebbe alquanto. In fondo son cose quotidiane di poco conto. Soprattutto perché, a dover essere davvero soppesata, pur nella sua imponderabile grandezza, è la gentilezza infinita di chi mi attornia. Ci sentiamo, o almeno io mi sento, profondamente in debito con queste persone, che dopo due giorni qui già mi presentavano ai loro amici con ammirazione e, soprattutto, ricordando perfettamente nome e provenienza di ciascuno di noi, quando invece io ricordo a malapena i nomi dei miei coinquilini e dei loro amici più stretti (leggi: quelli che dormono qui più spesso). Sono loro ad averci portato a fare delle passeggiate in Jeep, nelle scorse settimane (mai che mi sia stato chiesto di partager la benzina - mai che noi abbiamo posto la questione, anche); sono i genitori di uno di loro (che si chiama Icaro, tra l'altro: a rafforzare la perorazione a sgravarsi dai pesi) ad averci invitati, tutti e otto, ad un barbecue a casa loro.Le casette di questo quartiere popolare funzionano come una domus in miniatura, costruite come sono verso l'interno, con il loro patio e il loro piccolo bar - dotate di più di una doccia in esterna pur non avendo alcuna piscina. Siamo così arrivati (in Jeep, ovviamente) dai nostri ospiti, non senza una capatina per ostenderci agli amici, e mai mi sono sentito così in imbarazzo, così esotico, così vecchia Europa (bisogna correrli a vederli, hanno un piede nella fossa), anche. Gli ospiti non parlavano una parola di inglese, come del resto Icaro, con cui comunichiamo a suon di todo bem? sorrisi e pacche sulle spalle. Noi, ulteriormente imbarazzati dalla nostra dabbenaggine nel trovarci invitati a casa di sconosciuti senza uno straccio di presente per la signora, incapaci di andare oltre l'esposizione della nostra provenienza, i muito bonito aqui, e i não falo bem, siamo stati subito surclassati dalla signora di cui sopra che, munita di Google Translate, cercava di farci passare il messaggio che eravamo benvenuti, che lei associa la Polonia a Hitler e che Champagne di Peppino di Capri è la sua canzone del cuore. Ma mi correggo subito: non siamo stati invitati ad un barbecue. Siamo stati invitati a un churrasco, la grigliata per eccellenza a base di carne al sale grosso e arroz, riso bianco bollito. Carne e riso costituiscono la base della cucina locale, accanto agli immancabili fagioli e alle verdure.Serviti e riveriti. Sistemati al centro della scena (il termine non è fuori luogo), non abbiamo potuto far altro che rimpinzarci di carne, del resto buonissima, e riso, innaffiati da Skol e Brahma, birre brasiliane molto diffuse, e soprattutto molto leggere, da caipirinha assai ben fatta con la cachaça non troppo forte e dal latte di cocco, quello verde e ovale. Stavolta neanche l'ombra, ma le banane e i cuori di palma fritti sono altrettanto consueti.Non so dire quanto ho mangiato e bevuto. So solo che ho visto assai poco sobria la persona più virtuosa del gruppo. Se infine il churrasco ha fatto sentire tutto il suo peso, ciò che davvero supera ogni misura è la cortesia squisita con cui queste persone ci hanno aperto le porte della loro casa e dato il meglio che potevano offrirci. Non paghi di non essere stati che parcamente ringraziati hanno rinnovato l'invito, questa volta per una feijoada, fagioli neri e differenti tagli di carne, bollita o alla griglia.Il cibo qui ha un suo perché. Sono commoventi i tentativi di proporre piatti vegetariani al ristorante universitario, commoventi quanto votati alla catastrofe. La carne mi pare proprio inaggirabile. Lo diventa soprattutto in seno al rito che, per ora, mi pare più brasileiro in rapporto alla cucina, quello che ci porta a scoprire che, dopotutto, qualcosa qui un peso ce l'ha: a comida a quilo, il cibo a chilo.Anche una piccola città come São Carlos offre diverse possibilità di saggiare questa formula. Ricchi buffet caldi e freddi ci si presentano davanti come una terra promessa che non bisogna far altro che attaccare a tutti i lati. Il buffet è forse l'esperienza moderna che più ci riporta all'homo homini lupus. Come rinunciare alle uova di quaglia o ai feijãos, anche se non ne puoi più, visto che il tuo vicino se ne serve avidamente? Perfino gli irriducibili di frango e churrasco non possono fare a meno di una foglia di lattuga scondita. Notiamo qualche influenza della cucina italiana: cannelloni e lasagne di dubbia consistenza troneggiano tra le pietanziere bollenti, chiedendo di essere lasciati in pace. Sì perché non vale affatto la pena di attardarsi in quei quartieri quando ci aspettano cuochi dotati di spiedi che accostano al nostro piatto, offrendoci una pinza con cui possiamo scegliere il boccone che preferiamo. Il buffet è un piccolo paradiso dove non ci sono regole: l'imbarazzo della scelta è presto risolto dalla scelta di non imbarazzarsi e di darsi ai quattro palmenti. Non è un caso forse che, in genere, i gestori di questi ristoranti siano di origine orientale, come i tanti gestori di wok dalle nostre parti. L'idea è sempre la stessa: il buffet sembra il trionfo di quell'imponderabile che domina la nostra esperienza sensibile quaggiù, ma è solo un'illusione: la bilancia si avvicina, quel che sembrava una possibilità infinita diventa un peso e, soprattutto un prezzo. L'imponderabile acquisisce forma e i reais scorrono (benché, in quanto valuta forte, noi non si faccia poi molta fatica). I ristoranti a peso sono qualcosa a cui fare attenzione. 1 km a nuoto ogni giorno basterà a farci sentire meno colpevoli? Stretti fra l'ospitalità squisita che allevia lo straniamento e la rassicurante unità di misura della comida a quilo, cominciamo ad avere qualche punto di riferimento, se non altro nel campo della sopravvivenza alimentare. Sono state come delle settimane di allenamento. Non dar peso (e non acquisirlo ma perderlo, possibilmente) è l'atletica perfetta per cominciare a viaggiare. E viaggiare la prima volta ha voluto dire São Paulo.
da TEMPI FRU FRU http://www.tempifrufru.blogspot.com