di Franco Cardini
Il processo si basò su false dicerie infamanti, ma la causa vera fu il rifiuto di un prestito al re di Francia. Furono infatti abili cavalieri, ma anche capaci amministratori. Ora nuovi studi fanno giustizia sulla vicenda.
Jacques de Molay e Geoffroi de Charnay sul rogo - miniatura, XV secolo.
Le calunnie sono dure a morire. Quello dei Templari era un Ordine religioso nato nel secondo decennio del XII secolo: originariamente una fraternitas di pellegrini che avevano preso forse parte a quello strano pellegrinaggio armato che si è soliti chiamar «la prima crociata» (1095-1099), che ricevette poi una regola in qualche modo ispirata all’Ordine cistercense, e nella stesura della quale ebbe quanto meno indirettamente mano lo stesso Bernardo di Clairvaux. Il tratto originale (anche se non esclusivo) di tale ordine, come di altri nati nel medesimo secolo, era che esso riuniva alcuni fratres laici autorizzati a portare le armi per difendere i pellegrini e i nuovi principati cristiani nati in Terrasanta (e, poi, anche nella penisola iberica). Il termine canonico che qualificava tali ordini era non religio, bensì militia.
Esauritosi o comunque divenuto problematico il loro ruolo con la fine dell’esperimento dei principati nati dalla crociata, alla fine del Duecento, i Templari – che intanto avevano saputo sviluppare una loro florida attività in campo fondiario e bancario, ma attorno al quale giravano voci insistenti di tralignamento rispetto alla purezza originaria – furono alla fine coinvolti in un memoriabile processo inquisitoriale per eresia, avviato in Francia e dietro al quale c’era la volontà del sovrano di quel paese, deciso a sbarazzarsi dell’ingombrante presenza dell’Ordine e a impadronirsi delle sue ricchezze.
L’opposizione del maestro Jacques di Molay a un prestito di quattrocentomila fiorini d’oro che il Tesoriere del Tempio di Parigi aveva concesso al re di Francia e il dissidio tra papa Bonifacio VIII e re Filippo IV di Francia – durante il quale le sedi dell’Ordine in terra di Francia avevano preso posizione a favore del sovrano, a differenza degli altri Templari – furono tra le cause prossime del processo intentato contro l’Ordine: che ebbe comunque la sua origine immediata dalle confessioni e dalle confidenze di un “pentito”, tale Esquieu de Floyran priore templare di Montfaucon, che a partire dal 1305 cominciò a mettere in giro presunte rivelazioni su infiltrazioni ereticali nell’Ordine. Il papa e il re d’Aragona, messi a parte di quelle voci, non vi dettero importanza: ma il re di Francia, che doveva del denaro al Tempio e che era del resto ben deciso a ridurre la Chiesa di Francia sotto il suo controllo eliminando tutte quelle forze sospette di essere troppo strettamente fedeli al papa, aveva tutto l’interesse a lasciarsi convincere che davvero i templari – come recita la lettera regia indirizzata ai funzionari della corona il 14 settembre 1307, festa dell’Esaltazione della Croce – al momento dell’ammissione all’Ordine venissero indotti a rinnegare il Cristo, a sputare sul segno della croce, a darsi ad esecrabili pratiche oscene. Non deve meravigliare che i Templari si facessero così docilmente incarcerare: essi non solo non potevano levare le armi contro dei correligionari perché la loro regola lo impediva, ma soprattutto quelli di loro che si trovavano in Europa erano quasi tutti anziani, o invalidi. Imprigionarli fu uno scherzo da poco.
Le accuse contro i Templari, elaborate nei primi mesi dopo le campagne d’arresto eseguite un po’ in tutta Europa – ma con vario grado di efficacia e con esiti diseguali – tra 1307 e 1308, si cristallizzarono in una serie di punti che si potrebbero così enumerare: rinnegavano il Cristo, profanavano il segno della croce, si davano all’adorazione di idoli descritti come di varia forma (come il misterioso Baphometh); erano colpevoli di varie credenze ereticali riguardo ai sacramenti; esercitavano pratiche oscene e omosessuali; si riunivano in conciliaboli segreti dei quali nessuno all’esterno doveva saper nulla.
La lista delle accuse ai Templari, per la verità, ha un marcato aspetto fasullo. Sia che gli avvocati del re di Francia s’inventassero di sanapianta gli addebiti da muovere ai fratres, ispirandosi magari a fenomenologia e a casistica dei processi inquisitoriali per eresia che allora cominciavano a diventare più frequenti, sia che essi raccogliessero ed elaborassero confessioni in qualche modo “autentiche”, per estorte che fossero, resta il fatto che l’insieme delle pratiche attestate non ha alcuna coerenza e che ciascuna di esse, singolarmente prese, sembra rinviare a un contesto noto a livello più generico e popolare che non teologico o politico. Durante le cerimonie di ammissione al Tempio, è probabile si verificassero episodi di “nonnismo” anche molto pesanti e brutali, da cui potevano non esser assenti nemmeno atti irriverenti se non addirittura empi.
Il pontefice comprese bene la sostanza dei messaggi che il re di Francia gli inviava, che cioè il destino dell’Ordine era comunque segnato ed era bene accettare il male minore ed evitare scandali: e, com’è noto, sciolse d’autorità l’Ordine in modo ch’esso non fosse condannato, ma che neppure una sua esplicita e conclamata assoluzione compromettesse i rapporti tra regno di Francia e Santa Sede. La pergamena originale rintracciata nel settembre 2001 da una giovane studiosa, Barbara Frale, nell’Archivio Segreto Vaticano, ha mostrato come in seguito a un’inchiesta condotta nella fortezza di Chinon dov’erano rinchiusi i dignitari dell’Ordine del Tempio papa Clemente V concesse loro l’assoluzione, ben convinto del fatto ch’essi non erano affatto eretici.
Ma era tardi per arrestare la macchina messa in moto dal re di Francia e dai suoi giuristi. Con lo scioglimento dell’Ordine nel 1312 , sancito dalla bolla Vox in excelso, e il rogo nel 1314 come relapsi dell’ultimo maestro, Jacques de Molay, e del precettore di Normandia Geoffrey de Charney, che dopo aver ammesso la loro colpevolezza si erano di nuovo proclamati innocenti, cessa la vita istituzionale del Tempio. I beni del disciolto Ordine passarono a quello degli Ospitalieri di san Giovanni, secondo la bolla Ad providam del 2 maggio 1312.
Il corpus dei documenti processuali era già stato edito da Georges Lizerand, Le dossier de l’affaire des Templiers (Paris 1923). Di recente, gli studi di storici quali Alain Demurger e soprattutto di un gruppo di valorosi giovani ricercatori italiani (tra cui vanno ricordati almeno Simonetta Cerrini, Barbara Frale, Francesco Tommasi), hanno ampliato le nostre conoscenze sino a consentire un rivoluzionario riesame generale del problema.
da “Avvenire”, 04/10/2007
Per approfondire:
Barbara Frale, L’ultima battaglia dei Templari: dal codice ombra d’obbedienza militare alla costruzione del processo per eresia, Viella, Roma, 2001.