Tempo fuori luogo condivide con quest'ultimo racconto il tema della preveggenza e della sicurezza pubblica, in uno scenario che via via scivola nell'apocalittico - nel senso che rivela e sconvolge l'effimero castello di apparenze dove gli uomini e le donne si trovano a vivere sul serio. Una famiglia normale: Vic e Margo con Sammy e con l'eccentrico Rangle, fratello di lei, intento a guadagnarsi da vivere vincendo ogni giorno per tre anni consecutivi un concorso al giornale locale. Dei vicini un po' invadenti, Bill Black e Junie, ma insomma: c'è di peggio. Un mondo provinciale della migliore tradizione americana, dove non manca niente, meno che mai i pettegolezzi e la pruderie di tutte le Wisteria Lane che ben conosciamo.
Con una scrittura immediata, la freschezza di chi racconta un film e la sapienza di chi sa costruirlo con le sue parole, Philip K. Dick ci mostra le apparenze che si incrinano, la serenità monotona e molto evasiva con tutte le crepe che il fluttuare del tempo produce. L'autore è capace, come sempre, di dosare emozioni e personaggi, di calibrare la vicenda perché rimanga in suo possesso, consentendo alla sorpresa di preservarsi tale oltre ogni possibile consuetudine con la science fiction. L'arte, e non il trucco, sta tutto nel saper parlare dell'uomo e della sua storia consentendo al lettore un'evasione dagli aspetti più vieti e lasciandolo alle prese con il magma incontrollato del suo presente, come un'emergenza da affrontare.
Un lettore di oggi, in specie uno non espertissimo come me, ci vede dentro di tutto, da Matrix al Truman Show, dalla fantapolitica alle storie di spionaggio: la storia, imperniata tutta su un uomo che scopre il senso del suo potere, richiama anche i romanzi fantasy: eppure in Tempo fuori luogo il fenomeno, ovvero l'apparire di una dimensione nuova e stupefacente, è stato raffreddato un po' dall'intelletto. Classe e intelligenza impareggiabili, ma poca adrenalina.