Ormai la numerologia è un esercizio di prammatica: c’è una cabala delle logge P1 P2 e via a seguire, e ce n’è una di tangentopoli. Viene da supporre che ci siano stagioni del malaffare della corruzione e delle questioni morali, che si ripetono come una disperante monotona periodicità.
E questo dovrebbe indurre qualche riflessione che oltrepassi l’orizzonte della clasa discutidora del web, lo sgomitolare indignazione a raffica del Fatto, le profezie nazionalpopolari del dipietrismo. Perché se c’è qualcosa che è mancato nell’edificazione un po’ sbilenca di questo Paese da 150 anni in qua sono state decisamente la volontà e la capacità di smantellare quella pratica di commistione tra clientelismo e corruzione che ormai si configura come una socializzazione di massa alla pratica dell’illegalità. Cominciata molto tempo fa, se in una indagine sulla mafia del 1876 si indicava tra le origini del fenomeno un rapporto particolarmente perverso di rapporti patrono-cliente.
Eh si la classe politica in Italia ha da sempre fatto del clientelismo uno dei puntelli per la sua permanenza al potere. Il patrono pubblico ha mutuato da quello privato, uomo politico o funzionario della pubblica amministrazione, si comporta come un dispensiere che distribuisce risorse pubbliche come fossero beni personali: posti di lavoro, favori, pensioni, licenze, e su su appalti, incarichi, cariche elettive a parenti, famigli, amici in cambio di fedeltà e di consenso non solo elettorale.
I valori sociali coltivati non sono quelli civici di cittadinanza e di trasparenza, bensì quelli della sottomissione, della riconoscenza, talora dello scambio di favori. Il familismo non riguarda solo le dinastie “dirigenti”: le famiglie non sono state incoraggiate a sviluppare un rapporto equilibrato di solidarietà tra loro, con lo stato e con la società civile. Come disse Bobbio, più autorevolmente di Longanesi, per la famiglia di sprecano impegno, energia e coraggio così ne rimane poco per la società e per lo Stato. E familismo e clientelismo sono strettamente collegati e come si dice ormai da tempo non si tratta di categorie residuali di una organizzazione sociale arcaica, ma di elementi che si reinventano di continuo.
E infatti l’attuale “fioritura” della loro combinazione non dipende solo dal modello sociale ed esistenziale proposto dalla compagine governativa. Nel clima esasperato del neoliberismo, in cui il mercato del lavoro diventa sempre più flessibile e più precario e sempre meno garantito, e i diritti delle nuove generazioni ancora più minacciati e incerti, il clientelismo fatto di relazioni personali, di alleanze opache, di favori, di conoscenze e gerarchie vive una fase di inquietante splendore.
C’è chi dice che sia stato proprio questo clima economico che ha promosso il neo-clientelismo, a portare al fallimento della campagna “mani pulite”. E magari spiega anche perché gli italiani disamorati della partecipazione per via della corruzione della classe politica abbia premiato il più corrotto e corruttore dei non-politici.
La forma attuale è dunque particolarmente esplicita, proterva, estrema e spettacolare. Ma il sistema di rapporti politici e sociali clientelari capace di adeguarsi e trasformarsi continuamente, rappresenta una struttura profondamente radicata e invasiva del rapporto tra stato e cittadine e cittadini tra loro.
È che se permane solida l’aspettativa che per ottenere qualcosa, un appalto, una licenza, una concessione, per evitare una multa, per ammansire un controllo e addomesticare un’autorità, occorra un aggancio, un amico, una contatto, che serva pagare, allora significa che tutto il tessuto sociale è intriso di questo veleno, che non esistono strade diritte ma solo scorciatoie oscure e tortuose e non sempre più rapide, che per ogni bisignani di scala esiste un cittadino che pensa di servirsene. E il teatrino rivelato dimostra che si tratta di un gioco che ha preso talmente il sopravvento che si perde di vista l’obiettivo, accontentandosi a volte di sfiorare il potere, di gettare uno sguardo negli arcana imperii, per sentirsi al mondo.
In questi giorni mi torna continuamente alla mente un rapporto riservato mandato a Clinton nel 2000: nel 2010, diceva più o meno, interi territori e paesi passeranno sotto la sovranità di governi criminali. La profezia è stata anticipata dai tempi. Perché interi popoli hanno dato le dimissioni precocemente dalla democrazia che raccontavano di volere esportare. Ma adesso che si è scoperto il falso dietro le promesse in patria e fuori, può darsi che, se non siamo più in tempo a smentire gli aruspici, decidiamo che vale la pena di riprendercelo quel potere arduo che si chiama futuro.