Un incedere mellifluo prosegue con insistenza sino a lasciare spazio a una lieve trama infantile che, posandosi sulla medesima base iniziale, vede affiancarsi alcune variazioni della sezione ritmica e un amalgama che lambisce territori post-rock. L’impressione di avere a che fare con atmosfere rarefatte viene lentamente scalfita da una progressione lo-fi, in cui la concretezza delle soluzioni rumoriste adottate richiama una nuvola oscura che aleggia su di un giorno opaco. Il suono si indurisce avvalendosi di un’introduzione sincopata di piano, dalle cui retrovie affiorano armonie dal sapore desertico e fugaci incursioni hardcore veicolate dall’estemporanea voce al vetriolo che va perdendosi nel vuoto. Il percorso riprende laddove era stato interrotto brevi istanti prima, e pare anelare alla medesima ariosità cui era inizialmente votato, mantenendo una cospicua dose di distorsioni e spingendosi oltre le variopinte intuizioni della traccia d’apertura. Il magma di feedback fluisce mesto verso un punto di non ritorno, reiterando un’efficace formula ipnotica, che si alimenta dei contrasti creatisi fra soavi armonie e dissonanze che intaccano la sensazione di calma sin qui mantenutasi. Pare dunque non essere possibile raggiungere la pace dei sensi se non soffocandola sotto intricate sovrapposizioni di melodie tanto soffici da non sopravvivere al trascorrere del tempo. Ricorrendo a stratificazioni di natura ambient e tessendo armonie di chitarra acustica memori di quanto accennato sinora, l’amalgama sonoro torna a farsi più concreto: i ritmi divengono sostenuti e i contraltari proto-drone acquisiscono una loro cadenza specifica, che pare fluire con la grazia propria di alti steli di grano spezzati dal soffiare del vento estivo. Il frastuono degli input che vi gravitano attorno si infrange sulle rocce scalfite dallo sciabordio delle onde, per poi riversarsi silenziosamente verso il suolo, recuperando i suoni dilatati e ricchi di riverbero che avevano caratterizzato i primi passaggi di Tentudía. Lo sgretolarsi della terra si mescola ai rumori dell’aria che si introduce nell’intrico delle piante, riecheggiando i chiaroscuri umorali della dolente traccia di chiusura.
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