[Teoria della letteratura] Fare letteratura
Creato il 09 gennaio 2012 da Spaceoddity
[Teoria della letteratura] L'amico Paolo, con cui ho discusso del post su Ipertesti e canoni, mi ha brutalmente chiesto se, e in che misura, un'elegia di Tibullo sia un testo. Scriverla e leggerla significa condividere il più possibile un'enciclopedia senza la quale la lettera stessa di quel brano è incomprensibile. In sostanza, un'elegia di Tibullo non avrebbe quell'autonomia che si è soliti predicare nei testi già nella sua struttura. Non è autosufficiente.
Per conto suo, invece, un ipertesto non obbliga il lettore a proseguire nell'affondo guidato attraverso i suoi meandri. Puoi leggere una voce enciclopedica su Ulisse senza sprofondare nella questione omerica, nei versi del XXVI dell'Inferno, nella giornata di Leopold Bloom o nella trasfigurazione mitologica e bellica di 'Ndria Cambria. Tutto questo non è necessario per sapere qualcosa su Ulisse. Riconosci comunque il racconto che se ne fa, anche se le parole sono diverse.
Il punto è proprio questo: dobbiamo definire, ridefinire cosa sia un testo. Un'elegia di Tibullo è diversa da una delle Lettere senecane a Lucilio ed è diversa dalle sublimi Elegie duinesi di Rilke o dagli struggenti e coltissimi Tristia di Mandel'stam. Un'elegia di Tibullo è storicamente e letterariamente parecchio diversa da un'elegia quasi coeva di Properzio, perché afferiscono entrambi a circuiti di senso diversi, condividono solo fino a un certo punto un'enciclopedia che consenta di codificare e decodificare, cioè dare coerenza al testo.
Quando parlo di 'enciclopedia', mi riferisco proprio all'insieme di conoscenze disponibili e acquisibili per tutti i partecipanti a una data esperienza culturale, che a sua volta modifica questo insieme. Il circolo di Messalla Corvino è una realtà molto diversa dal circolo di Mecenate e solo semplificazioni posteriori possono associare questi eventi. Tuttavia, su un piano didattico, o anche più banalmente cognitivo, stressare queste differenze porta a rendere impossibile un'utile sintesi.
Da ciò derivano alcuni problemi che io sintetizzerei qui in due aspetti: da un lato, ci interessa davvero fare una storia dei testi? D'altro lato, come e quanto cooperano didattica e ricerca, se l'una punta alla sinossi, l'altra all'analisi e alla sistematizzazione? Risponderò in breve, per tre motivi: 1) non ho le risposte, questo discorso è chiaramente un work in progress e ha un carattere seminariale "in differita"); 2) il blog non è adatto agli approfondimenti che una risposta scientificamente valida, ammesso che ce ne sia una pensabile, richiederebbe; 3) risponderò solo per quanto attiene alla didassi verso le più giovani generazioni, cioè in ambito scolastico, delegando a menti più illuminate e attrezzate i problemi di cosa sia la cultura oggi.
Se quello che ci interessa è la storia dei testi, dobbiamo arrenderci a una scarnificazione degli stessi, a un'opera di scavo archeologico che restituisca i singoli reperti alla loro storia e li inanelli in una cultura che riconosce un canone, cioè giustifichi la selezione che eventi naturali e persone hanno fatto nel corso del tempo. Ciò rende la storia letteraria piuttosto conservatrice e rischia di impoverire i testi del loro succo concettuale, di quel che ci possono dire sempre e in particolare oggi. Nessuna ridicola e volgare attualizzazione: ma ricerca dell'attualità di un messaggio attraverso un confronto tra le sue origini e le sue manifestazioni all'atto della formulazione e le nostre odierne conclusioni.
Per quanto attiene alla seconda domanda, si tratta di un problema di sempre e in parte di un falso problema. Un'esperienza che non sia esperienza dei testi, un interrogarsi autoptico sui testi non dovrebbe mai diventare una trasmissione di sapere. Ma questo sapere deve essere un superamento, ove possibile, dei fossati tra un fenomeno e l'altro per evitare che gli inesperti vi cadano dentro, ma perché siano consapevoli del rischio che si corre a camminare su un terreno che appare piano: il "tedioso" resoconto storico è tutt'altro che banale, è in realtà emozionante, irto di ostacoli e, in fin dei conti, di vita vera e vissuta con tanta lotta e passione. Ogni proposizione è un azzardo, un significato che solo la ricerca e l'esperienza giustificano.
Infine, io sono e rimango un insegnante di scuola, finché mi sarà dato. Per quanto il mio lavoro mi consenta tra l'altro di, diciamo così, pagarmi gli studi, il mio lavoro consiste appunto nel tentare di consegnare ai miei ragazzi la possibilità di un'esperienza, come quella letteraria, che ritengo nobile e importante. Ma per far ciò, per me è indispensabile che sia davvero esperienza, cioè contatto reale con ciò che la letteratura è e per come si manifesta. E la letteratura non è la storia della letteratura, ma un fare letteratura: cioè fare ancora letteratura per le possibilità che ognuno di noi offre. Cade proprio al caso mio, dunque, il nuovo libro di Harold Bloom (Anatomia dell'influenza) che oggi ho comprato e che spero di discutere qui quanto prima. Se la letteratura non è un modo di esser vivi, non val la pena di addentrarsi tra tutti quei testi, ipertesti o quel che saranno, mi pare.
Ma sto diventando sentimentale. Mi taccio parnassianamente.
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