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Teoria # ii sul farsi male e la triste condizione della editoria italiana

Creato il 24 marzo 2010 da Ignominia
chiedi e ti sarà dato ed ecco che mi arriva una risposta alla domanda del post precedente
"che vorrà dire quando una si fa male in continuazione?" 
Titina suggeriva essere un caso di stanchezza, distrazione data da esaurimento (cosa che penso sia sintomo di uno stato d'animo che riguarda più lei al momento anche se -che io sappia- non se la sta prendendo fisicamente su se stessa).La seconda risposta me la da Deary, un personaggio bohemienne vecchio  stampo che ho trovato nel libro THE MAYTREES di Annie Dillard, un'autrice Americana che purtroppo non è stata mai tradotta in Italia e non capisco perchè. Dopo tutto ha pur vinto un Pulitzer per cui uno si aspetterebbe di trovare per lo meno un suo lavoro tradotto in Italiano, no? Vabbè che leggiamo poco e che entrando in libreria veniamo fermati da Muri di Berlino di mattoni firmati John Grisham, Leon Uris, Allende, Brown (Dan), Clive Cussler e dall'immancabile Stephen King che da tempi immemorabili sfornano libri clichè con  stessa storia, stesso linguaggio, stessa poco sorprendente conclusione rinnovando soltanto la giacchette patinate esterne per l'uscita sincronizzata per le feste comandate.  
E non vi tocco gli scrittori Italiani per non venire assalita da cori di "sacrilegio" ma solo perchè ne so poco.
In Italia si legge poco forse anche perchè quelli che non amano leggere leggono solo la roba che ricevono per regalo a Natale dagli amici che non sanno cosa fare altrimenti di regalo, che vanno in Libreria perchè così possono anche bersi un caffè, ma che vengono arginati e intimiditi dai muri di "best sellers" dai contenuti annacquati. Ecco allora che si faranno un'idea limitata delle possibilità offerte dalla lettura, dai mondi stupefacenti che si nascondono dentro un libro. Se le storie sono sempre le stesse, perchè comprare libri nuovi? Se poi sono libri tradotti, e la traduzione già smussa gli angoli diamantini della scrittura d'autore, partendo con uno scrittore dagli angoli loffi e smussati ti immagini che "palle rotonde" uno si trova a tenersi in mano durante la lettura?
Polemiche divagheggianti a parte, Deary è un personaggio secondario di una  novella che si svolge negli anni dopo guerra, a Cape Cod, USA quando questo non era ancora un posto di villeggiatura per il jet-set ma era abitato da artisti e liberali, scrittori, poeti e free thinkers che livi vivevano in un setting dalla predominanza naturale.  Nel libro che ho iniziato stamattina Deary, un'amica dei due protagonisti, viene da loro trovata addormentata fra le dune che costeggiano l'oceano Atlantico, arrotolata in una vela come un cannolo Siciliano, i ricci dei suoi capelli che ne fuoriescono come ripieno. Si viene a sapere che Deary è la prima donna laureata in architettura all'MIT che l'ironia della sorte vuole essere "senza tetto"ma non è per questo "homeless": ha persino piantato un orticello nella sabbia! Deary ha una mano fasciata e questo da adito ad una sorridente esposizione di una delle sue teorie:
"Appena nato incominci a farti male: ti tagli, abradi ustioni, scortichi, pungi, illividisci e ferisci varie  parti della tua pelle e questo va avanti per tutta la durata della vita.  Ogni nuova nocca sbucciata,  pulce secca, o ferita aggiunge quel punto alla tua coscienza di te stesso, facendoti sentire perciò più vivo. E quando hai ferito ogni singolo punto del tuo corpo, sentito ogni diramazione nervosa della tua pelle e hai raggiunto la totale conoscienza di te stesso ecco che muori."
Questa originale spiegazione mi piace molto di più del pensiero che sono stanca e meno attenta, che è un caso sfortunato e stò tutta bruciacchiata, tagliuzzata, spellacchiata o che dir si voglia  in un danno autoinflitto in pochi giorni. 
E' più divertente pensarla, come Deary, che allegra esclama: "STO SOLO AVVANTAGGIANDOMI VERSO LA  MORTE! 
Una morte che non è troppo triste se arriva dopo aver vissuto una vita libera dalle troppe costrizioni filosofiche, sociali, morali, camminando scalzi ovunque e dormendo "laddove  il profumo delle stelle si mescola a quello della sabbia" (che è più pepato di quello della  luce della luna) in un posto di mare.
Siete daccordo?

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