Teresa e il Jazz

Da Bibolotty

Stasera dice cose tristi la mia tonda Teresa, si è cambiata d’abito otto volte ed è tesa, malinconica direi, cosa che non è da lei.
«Terry ma che hai? Non sei contenta che siamo al cambio di stagione, che l’autunno avanza e che stasera hai un’inaugurazione? I locali stanno riaprendo e così la grande caccia, stai serena che sennò non acchiappi nessuno con sta faccia!»
Ma non c’è niente da fare, scalcia per la stanza borsette e scarpe, accende l’incenso e dice cose senza senso, si butta sul letto a braccia aperte e a ruota libera mi dice della maturità che avanza, delle rughe che le stanno facendo la corte ormai da tempo, e che di certi orrendi occhiali per vedere da vicino, non può più fare senza.
Le propongo un salto giù in pasticceria, una cioccolata calda o una corsa in profumeria ma Teresa non si muove presa da un’ostinata e immobile afasia.
Metto su il suo pezzo preferito, ma ascoltare Sinatra nemmeno l’aiuta, anzi si alza infastidita, fa tutto il corridoio a passo lento, si gira e mi saluta.
«Ma dove vai Teresa? Aspettami che vengo anch’io».
«Non sto uscendo, faccio una prova, solo il giro del palazzo in cerca dell’approvazione generale, oggi sta storia mi prende proprio male.
So già chi rivedrò stasera, li conosco uno per uno e da una vita e anche loro sanno bene la mia storia.
La verità è che detesto questa grande città che resta paese, che un anno ancora è passato e che in questa nazione nulla è cambiato.
Cerca di capirmi, oggi sono proprio pessimista e intollerante, non credo sia positivo per me star tra la gente!
In quel locale ci andai la prima volta che avevo tredici anni, portavo lunghe trecce e minigonna e camminavo senza fretta quando, alla fine di corso Vittorio e sulla sinistra, sentii quell’armonia perfetta. Il buio m’ingoiò in un solo istante e mi strinse forte, così come l’odore di muffa e della gente.
Un tizio magro che sembrava un po’ fatto suonava per quei signori grandi e per la bionda Picchi, che gentile e sorridendo mi offrì da bere e mi domandò cosa stessi cercando, ora lei non c’è più e il trombettista Chet neppure.
Secondo te come mi dovrei sentire?
Ecco perché non voglio uscire, andare lì è come vedere un cielo all’imbrunire, ascoltare una canzone della mia infanzia, andarci stasera è come programmare una crisi d’ansia!
Dove sono finiti i soldi alla cultura?
Dove stanno più l’aggregazione e le passioni vere?
Dove sarà finita l’antica e sana capacità di vivere per l’arte e con fatica?
L’abnegazione non si compra, per fortuna, il cosiddetto fuoco sacro non ha bisogno solo di denari, è un dono degli avi, sta nel dna familiare e se non si può fabbricare!»
Io non oso parlare perché Teresa ha proprio ragione, ma non ha messo in conto la cosa più importante, che il vero talento non appartiene mai al regime ma alla gente.
La mia constatazione non la lascia indifferente, decide per un bianco e nero molto jazzy, trasparente da renderla tanto breezy da prevedere una serata niente affatto bluesy.

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