Anche Teresa è andata sposa.
Molti, dopo avere ascoltato la sua storia, le domandano come mai riesca ancora a dar credito all’amore e a certi uomini e lei, alzando gli occhi al cielo, lascia intendere che sì, forse sarebbe meglio lasciar stare!
Mi basta sentire la sua voce, all’improvviso più dimessa e opaca, per sapere se l’ha incontrato, sentito o solo letto, magari in una delle e mail di circostanza per le feste comandate o i lutti di famiglia.
A lui, grasso e borioso avvocato civilista, non parve vero di poter sposare la bella ragazza bianca e soda, e le cinse la vita con ancora più trasporto dopo aver dato più di un’attenta occhiata ai suoi terreni e ai beni di famiglia.
Dopo il fidanzamento frettoloso, durato giusto il tempo di lasciar che si sentisse la più amata, con un paio di “ti amo” sussurrati al chiar di luna, Ernesto – prendo questo nome solo in prestito-, decise di cambiare quella donna e a cominciare proprio dall’abbigliamento. Non si svelò prima delle nozze ma solo dopo, quando, in luna di miele, la portò in un centro commerciale dove -e senza darle modo di reagire- volle infilarla in anonimi tailleur neri e grigio topo.
Messi via gli anfibi, i diari e tutti i colori in un baule, la povera Teresa si adattò comunque di buon grado a quello che immaginava un solido legame.
Si sentiva già al sicuro stretta in seno alla famiglia, la fede platino che, nuova, brillava ancora abbracciata all’anulare, ancora entusiasta dei regali costosi da scartare, la famiglia inneggiante gli sposi tutta attorno.
Ma non passarono nemmeno due anni che la casa sapeva già di prigione.
Occupata a preparare cene per amici di lui già annoiati e stanchi, indaffarati a tener fermi figli senza freno e mogli, Teresa lasciava che la vita, la sua e la sola che Dio aveva deciso di darle, le scivolasse in fretta fra le dita.
E il tempo passò, ma lo seppe solo un giorno quando, la scopa fra le mani, si ritrovò per caso in uno specchio e quasi non si riconobbe nel vedersi così rotonda e affranta. In un abitino un po’ sformato e liso, le ciabatte vecchie ai piedi, i capelli che sembravano rafia, Teresa preparava la cena per riporre quella di lui in frigo: c’è sempre del lavoro in più allo studio, la partita di calcetto o l’amico in crisi...
Lui, l’odioso Ernesto grasso e sempre più arrogante è appagato e stanco, le parla di se stesso e di se stesso ancora e sempre più spesso, la ferisce e senza più contegno.
Quando me ne parla, Teresa piange ancora.
E come sempre guarda altrove, dissimula e finge, talvolta è così brava che confonde il riso con il pianto. In tanti anni la mia amica me ne ha dette molte, così tante che messe tutte assieme una in fila dietro l’altra, quelle parole cattive cingerebbero due volte il mondo.
«sei troppo grassa!, ma guardati un po’!, che figa che è quella!, cazzo ma stai dritta!, ma come ti vesti!, ma come ragioni!, ho detto di no!, sei proprio una stronza!, e allora realizzati!, ti ho detto aspetta!, non dico cazzate...!» e così via dicendo, e così via umiliando!
Ma Teresa è resistente, ha combattuto fino in fondo e ha sgranato gli occhi quando si è resa conto che sarebbe stato giusto farlo anziché attaccarsi alla bottiglia, urlare, e non far finta di niente, di essere distratta, occupata magari a rimuovere il presente, nella speranza di un domani – anche solo- più giusto.
Ma arriva sempre il giorno in cui il domani è solo buio tanto si è fatta flebile la speranza di vederlo diverso, quando ormai è troppo vicina l’dea che l’uomo con cui condividiamo vita e letto, non è ciò che pensiamo ma ciò che in realtà sappiamo da tempo.
E anche per Terry giunse quel giorno, un mattino di primavera in cui volle riaprire il suo baule, quello che, ai piedi di quel letto -che di matrimoniale aveva solo il nome- conteneva tutto ciò che nemmeno Ernesto le avrebbe potuto mai strappare: la Barbie sposa, il gioco del Monopoli e il “Dolceforno”.
Abbracciata a un’idea precisa e al suo storico “Cicciobello”, in un’ora aveva già il bagaglio pronto.
Il mattino del giorno dopo mangiava un gelato doppia panna e sorrideva al Pantheon!