Alan Taylor deve amare le sfide in un modo impossibile da comprendere a patto di non essere lui stesso. Questo è l’unico motivo per cui un regista potrebbe, specie dopo aver letto la sceneggiatura, decidere di mettersi al timone di una produzione come “Terminator Genisys”, film che sulla carta si rivela una scommessa persa prima ancora di essere giocata. Escludendo i primi due titoli (di quello che ormai è un franchise) ad opera di James Cameron (che ad ogni nuovo film riscuote un bel assegno per dichiarare che l’ultimo è un vero “terminator movie”), i due capitoli che hanno preceduto questa nuova avventura non è che fossero del tutto riusciti. Certamente siamo distanti dalle lacrime amare procurate dal seno di Kristanna Loken che si “pompava” a comando in “Terminator 3: le macchine ribelli” (ma Mostow si è divertito parecchio a dirigerlo questo è innegabile). Fortunatamente siamo ancora più lontani dal futuro apocalittico di “Terminator Salvation” che nel tentativo di mostrare qualcosa che fino a prima di esso era stato solamente suggerito (ma siamo davvero convinti di questo?), ovvero il futuro dopo il giorno del giudizio, ci voleva far credere che Michael Ironside potesse pure interpretare un personaggio che non fosse un cattivo bastardo.
La nuova Sarah Connor sarebbe completamente anonima non fosse per i seni prosperosi con buona pace di tutti i teen ager.
Si fortunatamente “Terminator Genisys” evita di considerare questi due episodi ricollegandosi direttamente al secondo e per una volta un fondo di verità nelle parole promozionali di Cameron questa lo si trova, perché effettivamente Alan Taylor riesce nella impresa di mettere assieme una pellicola riuscita, piena di strizzatine d’occhio per i fan di vecchia e con delle sequenze d’azione che se non possiamo sicuramente definire originali, almeno compiono egregiamente il loro lavoro di spettacolarizzazione del racconto. Precisato questo, “Terminator Genisys” poteva tranquillamente intitolarsi “Ritorno a futuro parte 4”, dato che ricorda molto di più le rocambolesche avventure di Marty McFly che un film legato alla saga delle macchina assassine. Il lavoro in fase di sceneggiatura seppur curato nel suo essere ruffiano con lo spettatored, distrugge completamente il punto focale su cui si fondava l’intera saga nel tentativo di costruire una sorta di “universo” da utilizzare come base per l’eventuale serialità cinematografica. I film di dedicati all’androide assassino si sono sempre giocati sul dualismo uomo/macchina, sul pericolo dettato dall’invulnerabilità quasi totale dell’automa programmato per uccidere, contrapposto alla fragilità dell’essere umano, alla paura di quest’ultimo alla vista del primo. In “Terminator Salvation” si sono tutti (gli sceneggiatori sono due) presi la briga di umanizzare il più possibile gli androidi, relegando gli esseri umani a semplici osservatori/viaggiatori temporali, mentre i cyborg si prendono a sonore mazzate (la tensione è vicina allo zero assoluto per tutta la durata della pellicola).
“E’ tutto sbagliato” esclama Sarah Connor una volta spedita avanti nel tempo assieme a Kyle Reese, ma la cosa veramente errata di questo futuro è che il destino dell’uomo non è più importante, egli non ha più scelta, cosa lo attende non è più frutto del libero arbitrio, ma dell’esito dello scontro tra la macchina che arriva dal passato (il cinema di ieri? Schwarzenegger ripete spesso “sono vecchio non obsoleto”), unica in grado di distruggere quella spedita dal futuro (John Connor che diviene a sua volta non un uomo ne un cyborg ma “qualcosa di diverso”).
Ed il destino dell’intera umanità viene deciso in uno scontro che ricorda maggiormente l’incontro tra Iron Man e Hulk dell’ultimo Avengers, piuttosto che la poetica dell’acciao fuso del secondo Terminator (il metallo ritorna ad essere tale, una forma inanimata). Non era semplice l’obbiettivo che si prefiggeva la squadra capitanata da Taylor (che comunque firma un film migliore del precedente “Thor: Dark World”), la sconfitta era scontata e si è presentata nei primi quindici minuti di film, quando scopriamo cosa lega Sarah Connor al T800 interpretato da Arnold Schwarzenegger, ma a quel punto l’unico flusso che vorremmo ricordare è quello canalizzatore della DeLorean e il solo viaggio nel tempo ammesso sembra essere quello che riporta al 1984 di James Cameron, piuttosto che al 2019 di Alan Taylor.