Terra di Lavoro tra orgoglio e Gomorra

Creato il 04 luglio 2013 da Cassintegrati @cassintegrati

La vicenda dei quasi 1500 esuberi del gruppo Indesit è stata raccontata in più articoli da L’isola dei Cassintegrati. In sintesi, l’azienda ha deciso di delocalizzare parte della produzione in Polonia, Turchia e Russia, in particolare quella delle lavatrici. I motivi sono quelli noti che abbiamo imparato a conoscere bene in questi anni: abbattere i costi di produzione per aumentare i ricavi, ovvero detto in maniera brutale licenziare in Italia, per aprire fabbriche ad Est dove il costo del lavoro è più basso. Questa mattina siamo andati alla manifestazione organizzata dai lavoratori ad Aversa.

Stamattina ad Aversa, la città dove sono cresciuto, c’è stata la manifestazione sindacale unitaria contro il piano aziendale presentato da Indesit Company. Sono quasi cinquecento gli esuberi previsti per i lavoratori dello stabilimento di Gricignano, su 900 complessivi. Il nuovo piano di razionalizzazione della produzione avrà un impatto su circa 2000 lavoratori dell’indotto. Una vera e propria bomba, in un tessuto socio-economico già gravemente mutilato, come quello della Terra di Lavoro. Proprio per questo il corteo era guidato da tutti i sindaci della zona con tanto di fascia tricolore, sempre più inermi di fronte ai drammi della crisi economica.

Ho fatto un lungo pezzo di corteo con Giovanni Sgambati, segretario regionale dei metalmeccanici della UIL. Mi ha raccontato che la Indesit per anni è stato un modello ‘olivettiano’, molto partecipativo di fabbrica, in cui il rapporto tra management e lavoratori è sempre stato straordinario. Ultimamente lo stabilimento era stato anche coperto interamente da pannelli fotovoltaici, proprio per sopperire al tema del costo dell’energia. E invece anche qui la delocalizzazione è stata guidata dalla sola logica del profitto, perché questo stabilimento (come gli altri in Italia) è moderno e funzionale, e le sue produzioni competono molto bene sul mercato.

Foto di Francesco Nicodemo

Ma Giovanni mi ha descritto anche il quadro drammatico dell’intero comparto manifatturiero della provincia di Caserta. Qui fino a 20 anni fa le produzioni di elettronica, telefonia ed informatica erano un’eccellenza. Quando ad Aversa fu aperta la Facoltà di Ingegneria della Seconda Università di Napoli, l’idea era quella di connettere la ricerca con la produzione del territorio. In pochi anni hanno chiuso i colossi telefonici, informatici, ed elettronici presenti sul territorio. Nel comparto metalmeccanico si è passati da 20mila addetti a meno di 6mila. L’ultima iniziativa governativa è stato l’accordo quadro firmato da Prodi nel 2006 che è rimasto lettera morta.

Nel corteo ho visto facce stanche e occhi spenti. Gli operai indossavano magliette con su scritto Indesit – Orgoglio italiano. Ho parlato con alcuni di loro. Tutti hanno timore per il futuro, il loro e quello dei figli. Molti hanno rate, mutui, cambiali da pagare, figli da mantenere agli studi. Ho visto due bandiere di Sel, e una dei Giovani Democratici. Uno striscione di un centro sociale. Qualche consigliere regionale della zona. Qualche esponente politico locale. Nulla più. Nel corteo erano assenti i partiti e i propri dirigenti, forse per disinteresse, forse per paura di contestazioni. Eppure mi chiedo quale sia il luogo della politica se non proprio dove il disagio e i problemi sono più acuti.

Mi sono fermato a parlare con un paio di operai sulla cinquantina. Ho chiesto chi avessero votato alle scorse elezioni. Mi hanno detto, senza alcuna sorpresa, di aver votato per disperazione il MoVimento 5 Stelle. Ma che non lo voteranno più, perché sono troppo delusi anche dai ‘grillini’, anzi sono delusi proprio da tutti, e quindi non daranno il proprio voto più a nessun partito.

Qualche settimana fa Barca si chiedeva dove fossero gli operai, perché disertassero le sedi del PD. Quella di stamattina non è una risposta alla sua domanda, ma un’amara constazione. Dal palco le cose più interessanti le ho sentite nelle parole della lettera del vescovo di Aversa, Angelo Spinillo. La sua lettera descrive una terra violentata da un’industrializzazione selvaggia che ha urbanizzato un territorio agricolo ricchissimo, prima rubando forza lavoro e poi avvelenando le campagne. In quella lettera il vescovo si chiede se davvero non fosse possibile altro sistema di sviluppo se non quello basato sul profitto che diventa rapina.

Non ho risposte alle parole del vescovo. Quello che so è che Terra di Lavoro è ormai Gomorra nella narrazione nazionale, purtroppo a pieno diritto. I suoi figli, quelli più coraggiosi e quelli più formati, sono andati via da tempo. Qui resta chi non ha la forza di andare via, disillusi, o chi ha qualcosa da conservare. Sono queste le condizioni di disperazione che hanno fatto crescere Gomorra a dismisura, solo così ha potuto avvelenare le terre, portare violenza, stuprare il territorio. Quando lo Stato e le istituzioni comprenderanno che per affrontare e sconfiggere la criminalità organizzata il primo passo è considerarla innanzitutto come il male di un mancato sviluppo socio-economico, solo allora ritornerà la speranza di liberazione da Gomorra.

E tornerà l’orgoglio di vivere in queste terre.

di Francesco Nicodemo | @fnicodemo
(Articolo pubblicato originalmente sul blog PaNICO DEMOcratico)


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