Terra e libertà, l’utopia di emiliano zapata

Creato il 15 febbraio 2013 da Postpopuli @PostPopuli

di Emiliano Morozzi

Terra e libertà, l’utopia di Emiliano Zapata: la storia di uno dei pochi uomini “puri”, che hanno fatto la storia senza macchiarsi la coscienza. La settimana scorsa ho parlato di Gandhi, colui che riuscì ad ottenere l’indipendenza del proprio paese con una lotta pacifica, oggi racconterò invece la storia del rivoluzionario messicano che scelse la lotta armata soltanto quando non ebbe più valide alternative. A differenza di molti rivoluzionari dell’epoca, non era un intellettuale nè apparteneva alle elitè dominanti, ma proveniva da una famiglia di contadini del sud del Messico, ridotta in povertà dallo sviluppo incontrollato delle grandi “haciendas”, aziende agricole che fagocitavano i terreni dei piccoli agricoltori. Rimasto orfano a 16 anni, dovette abbandonare gli studi e cercare un mestiere per sopravvivere: divenne così agricoltore e allevatore di cavalli, trasformandosi ben presto in un esperto in quest’ultima materia. Il lavoro portava il pane, ma la mente del giovane Zapata si nutriva d’altro: leggeva libri che parlavano di rivoluzione e partecipava attivamente alla vita della propria comunità, divendone ben presto un personaggio carismatico e successivamente il leader riconosciuto.

E’ il 1909 quando la gente di Anenecuilco lo elegge sindaco e Zapata, per ripagare la fiducia di chi lo ha eletto, si prodiga per risolvere i problemi di tutti quei contadini rimasti senza terra e senza lavoro. Appoggia l’elezione del candidato dell’opposizione a governatore, ma la sua battaglia non ha successo e con l’avvento di Escandon, seguace del dittatore del Messico Porfirio Diaz, la confisca delle terre subisce un inasprimento. Zapata cerca per vie legali di restituire le terre ai contadini ed evitare che i terreni da sempre appartenuti alla comunità (gli eijdo) finiscano in mano ai latifondisti, ma non ottenendo alcun risultato, neppure dopo un incontro con lo stesso Diaz, comincia ad occupare le terre e le redistribuisce. La situazione politica messicana nel frattempo si infiamma: la rielezione del dittatore messicano viene duramente contestata dall’oppositore liberale Madero, che con il proclama di San Luis Potosì invita tutti i messicani alla rivolta, promettendo di risolvere l’annosa questione agraria. Zapata decide di unirsi alla lotta e le sue milizie, con tattiche di guerriglia, tengono in scacco l’esercito regolare, fino a quando, fiaccato dagli zapatisti a sud e dai guerriglieri di Villa al Nord, Diaz non è costretto a lasciare il Messico.

Zapata e Villa nel palazzo presidenziale (russelmeansfreedom.com)

I nuovi padroni del paese non mantengono però le promesse: il presidente Madero chiede la smobilitazione e il disarmo delle truppe zapatiste come condizione per affrontare la questione agraria, Zapata non accetta queste dure condizioni e torna nel Morelos per riprendere in mano le armi. Il governo di Madero dura poco, stroncato dal colpo di stato di Victoriano Huerta, generale che fa assassinare il suo predecessore e instaura una feroce dittatura, autoproclamandosi presidente con il tacito assenso degli Stati Uniti. Nonostante la repressione, Huerta non riesce a pacificare il Messico: Pancho Villa con spettacolari vittorie negli stati del nord e Zapata a sud tengono sotto pressione le truppe federali e le logorano a tal punto che anche lui deve fuggire altrove, lasciando il paese nel caos. Per l’ennesima volta i rivoltosi cercano con un accordo tra le varie fazioni di pacificare il paese, ma ancora una volta l’ambizione finisce per rendere vano il tentativo: Carranza si rifiuta di sottoscrivere i patti ad Aguascalientes e mette le proprie milizie contro quelle di Pancho Villa ed Emiliano Zapata. Per i due più famosi rivoluzionari messicani, è forse il momento di maggior fulgore: i contadini del sud guidati da Zapata cacciano dalla capitale Carranza, ma una volta giunto a Città del Messico, il rivoluzionario del Morelos rifiutò di sedersi sulla poltrona presidenziale. “Non combatto per questo” disse “Combatto per le terre, perchè le restituiscano”.

Non voleva il potere Zapata, voleva soltanto rivendicare il diritto della propria gente ad avere un pezzo di terra da poter coltivare, come avevano sempre fatto. Quando tornò nel Morelos, dove cercò di instaurare una specie di democrazia diretta: gli zapatisti infatti redistribuivano le terre e promulgavano leggi a protezione dei pueblos contro i grandi latifondisti, in quella che è passata alla storia come la Comune di Morelos. Coloro che ambivano alla poltrona presidenziale, quella stessa che Emiliano Zapata aveva rifiutato, vedevano però il rivoluzionario messicano come un ostacolo e fecero di tutto per toglierlo di mezzo: prima Carranza e poi Obregon utilizzarono ampiamente l’esercito contro gli zapatisti, che alla lunga finirono per essere sconfitti. Nonostante questo, per eliminare Zapata dovettero ricorrere all’inganno: il rivoluzionario messicano cadde infatti in un’imboscata il 10 Aprile 1919. Come per ogni rivoluzionario carismatico, la morte violenta per mano dei propri nemici rafforzò il mito di Zapata, al punto che qualche anno dopo gli stessi che ne avevano ordinato la morte lo dichiararono eroe nazionale. Una figura che tutt’oggi ispira molti di coloro che vivono in quelle regioni e che cercano di far rivivere quell’esperienza di governo. Un rivoluzionario “puro”, uno di quelli che non si è macchiato di atrocità, che non combatteva per la fama o per la sete di potere, ma per dare al proprio popolo “Terra e libertà”.


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