Terremoto a Politico

Creato il 02 marzo 2016 da Retrò Online Magazine @retr_online

Jim VandeHei,cofondatore e CEO di Politico, lascerà presto la redazione del celebre quotidiano statunitense, in seguito a divergenze con l’altro cofondatore (nonché proprietario) Robert Allbritton.

Come riportato qualche settimana fa dal Washington Post, nei prossimi mesi vi sarà una vera e propria rivoluzione a Politico

Jim VandeHei – CEO e cofondatore di Politico assieme a Robert Allbritton, proprietario della testata – lascerà entro novembre la redazione del giornale assieme ad altri quattro dirigenti, tra cui l’editorialista Mike Allen, punta di diamante del quotidiano.

Secondo il Washington Post, i motivi delle divergenze tra i due fondatori sono stati parecchi: oltre ad avere caratteri piuttosto dissimili, “VandeHei voleva più controllo, Allbritton più riconoscenza” ed entrambi avevano visioni opposte riguardo il futuro di Politico, in particolare per quanto riguarda l’espansione del giornale in Europa (progetto su cui sono stati investiti quasi 10 milioni di Euro) e, in prospettiva futura, nel resto del mondo

John Harris – personaggio chiave sin dalla fondazione di Politico, attuale editor-in chief e uomo vicino sia a VandeHei che ad Allbritton – non sarebbe intenzionato a lasciare la testata, di cui sta supervisionando la neonata versione europea.

Un progetto dalle fondamenta solide.

Parecchi quotidiani hanno descritto minuziosamente i retroscena legati ai rimescolamenti di potere a Politico; in pochi, però hanno spiegato come il quotidiano in meno di dieci anni sia divenuto leader nel settore dei media e punto di riferimento per il giornalismo politico statunitense – e, da qualche mese, europeo – mettendosi in competizione con due giganti quali il The New York Times e il The Washington Post.

Innanzitutto, fin dal 2007, anno di fondazione di Politico, il giornale poté godere di solide basi economiche: Joe, il padre di Allbritton, infatti, era fondatore e proprietario della Allbritton Communications, colosso nel campo dei media. Il figlio, prima di lanciarsi nella nuova avventura editoriale, fu CEO della compagnia per tredici anni e nel 2014 decise di vendere tutte le stazioni televisive che facevano capo alla Allbritton Communications per quasi un miliardo di dollari. Con i fondi ottenuti creò una nuova compagnia, la Capitol News Company che, di fatto, divenne la cassa da cui Politico attinse il denaro per iniziare la propria attività.

Le idee dietro Politico.

Allbritton, inoltre, assieme a VandeHei e Harris pose alcune premesse, che avrebbero (in parte) guidato la linea editoriale del giornale negli anni a venire. Come scritto proprio da John Harris in un articolo per la Columbia Journalism Review, la nascente testata sarebbe stata, a suo modo, estremamente specialistica: avrebbe raccontato esclusivamente la politica statunitense nei suoi aspetti principali – Congresso, Casa Bianca, mondo delle lobby, politica di ogni singolo Stato – tralasciando ogni altro genere di argomento e convogliando, quindi, tutte le risorse su un obiettivo specifico.

In secondo luogo, si sarebbe cercato di evitare di rendere la redazione un amalgama indistinto di reporter, editor e collaboratori; la volontà era quella di assumere giornalisti che, oltre ad avere una conoscenza profonda del mondo dei social e dei media online, proprio grazie al web si fossero già creati quello che Harris definisce un franchise: un proprio pubblico e una propria immagine ben definita.

Così facendo, Politico ebbe fin da subito un vantaggio notevole per una pubblicazione giovane, non dovendo costruirsi ex novo un pubblico di lettori.

Il giornale giusto al momento giusto.

Altro motivo del dirompente successo che Politico ebbe fin dagli inizi è da ricercarsi nelle tempistiche; il 2008 – poco dopo un anno dalla fondazione del giornale – si tennero le presidenziali statunitensi, che videro Obama vincitore.

Rispetto alla corsa elettorale del 2004, l’esito fu incerto fino al giorno degli scrutini; per di più  si contendevano la carica di Presidente due outsider, che alle primarie dei rispettivi partiti avevano sconfitto i candidati favoriti, ed il peso degli swing states - gli Stati in cui nessun partito possiede una maggioranza netta – fu notevole

Si trattò, dunque, di elezioni avvincenti, che non chiedevano altro che esser raccontate in maniera appassionante e che catturarono enormemente – o meglio, più del solito – l’attenzione dell’opinione pubblica, anche grazie alla presenza di candidati, soprattutto alle primarie, di notevole carisma.

In questo scenario Politico seppe muoversi con agilità, pubblicando numerosi scoop e sfruttando al massimo il mondo dei social, che per la prima volta irruppero prepotentemente sulla scena politica (Twitter nel 2004 non esisteva ancora e Facebook era agli albori).

L’aria che si respirava a Politico in quel periodo è ben descritta da Alexander Burns, reporter per per la testata fino al 2015, che ricorda come all’epoca l’ambiente fosse ancora estremamente informale e le gerarchie non troppo definite, divenendo terreno fertile per un giornalista neoassunto e fresco di laurea.

Il grande botto e lo sbarco in Europa.

In meno di dieci anni Politico ha compiuto passi da gigante: ultimo arrivato in un mercato che pareva essere saturo, è riuscito non solo a sopravvivere, ma anche a competere con realtà editoriali di dimensioni maggiori e con una storia secolare alle spalle.

Il tutto consolidando la propria situazione finanziaria e costruendo un modello di business estremamente competitivo, tale da permettere – grazie ad una joint venture con l’editore tedesco Axel Springer AG – l’apertura di una versione europea del quotidiano.

L’occasione per verificare quanto la pubblicazione sia matura è arrivata; dopo quasi dieci anni, la sitauzione di Politico pare consolidata e, secondo fonti del Washington Post, le entrate l’anno scorso hanno superato i 70 milioni di dollari. La partenza di alcuni personaggi chiave non dovrebbe, dunque, sortire effetti eccessivamente negativi sulla pubblicazione.

Una conferma di questa previsione arriverà, però, solamente dopo novembre, con la partenza di VandeHei; se il giornale supererà questa fase di transizione, non si potrà che aggiungere un mattone alle (già solide) fondamenta del quotidiano.

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