C’ero quando in Emilia la terra tremava, quando negli occhi della gente regnava la paura, quando scappare fuori di casa ogni mezz’ora era quasi un’abitudine.
C’ero quando noi emiliani ci sentivamo impotenti, ma uniti. Quando la catena della solidarietà è stata più forte di qualunque terremoto: almeno un 8.0 sulla scala Richter
Oggi, a distanza di un anno, nella mia mente un’immagine indelebile: quel cartello con scritto “Non agibile” attaccato al portone di casa mia, trovato al ritorno da una giornata di lavoro. Oggetti per terra, crepe sui muri, calcinacci. La vicina che abbraccia i vigili del fuoco. Due magliette e un paio di jeans buttati in una borsa prima di correre fuori.
In quei giorni ho ricevuto decine e decine di messaggi di incoraggiamento e affetto. In tanti mi avete offerto ospitalità, e la mia risposta è sempre stata la stessa: preferisco restare qui, con i miei cari.
In famiglia sono l’unica emiliana: ho padre, madre e fratello piemontesi. Ho viaggiato per lavoro e mi sono trasferita diverse volte, non ho mai pensato di appartenere ad un posto specifico, mi sono sempre sentita cittadina del mondo.
Nei giorni del sisma, però, guardandomi attorno, sono stata fiera di appartenere a questa terra eccezionale, mi sono riconosciuta nella sua combattività, nella sua energia, nel suo sorriso.
E’ incredibile come tante persone trascorrano la vita nella paura di non essere all’altezza, poi arriva un terremoto e ognuno, nel suo piccolo, inizia a fare miracoli, come testimonia questo video straordinario.
Ma di quei giorni ricordo anche le risate, l’allegria, la voglia di ricominciare.
Ricordo il mio amico Manu che mi aiuta a riempire i cartoni per traslocare, ovviamente con la porta spalancata che non si sa mai crolli qualcosa. Ricordo il dirimpettaio e la sua compagna che ne approfittano per entrare e farsi un giro turistico dell’appartamento a constatare i danni, dopodiché la tipa emette la sua sentenza: “Questa casa però è più bella della nostra, ha le finestre più grandi”.
Ricordo quanto ho riso quando ho saputo che mio fratello, cresciuto a pane e volpe, durante la scossa si è ritrovato dritto in fronte una chitarra che aveva collocato su una mensola sopra il letto (nessun danno alla testa, non pervenute le condizioni della chitarra).
E poi ricordo le tante cazzate, quelle di chi non era lì, quelle dei giornalisti e dei politici, come il buon Napolitano, che se ne è uscito con la frase: “È tristissimo che nel sisma in Emilia Romagna siano morti soprattutto operai”. Come se i morti per il terremoto non fossero una tragedia e basta, indipendentemente dal lavoro che svolgono.
Ricordo lo squallido tentativo di Groupalia di fare marketing sfruttando la vicenda: “Paura del terremoto? molliamo tutto e scappiamo a Santo Domingo!”. Fortunatamente il responsabile è stato licenziato, ed io ho reagito con il mio proverbiale savoir faire: “Sei social Media Strategist di Groupalia e hai appena perso il lavoro? Su JobRapido ci sono centinaia di offerte. Coglione”.
A proposito di insulti, in quei giorni ho imparato che nulla, come un terremoto, è in grado di stimolare le capacità linguistiche: in un nanosecondo ti produci in una sequenza infinita di improperi che non sapevi nemmeno di conoscere
Ma soprattutto ho imparato che ciò che siamo non ha a che fare con 4 mura e un tetto. Ciò che siamo lo leggiamo ogni giorno negli occhi di chi ci aiuta e ci sostiene circondandoci di affetto.
Grazie alla Protezione Civile, alle Forze dell’Ordine e a tutti voi che non ci avete mai fatto sentire soli ♥
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