Giorni dopo tornammo alla piana delle pietre ma prima passammo a parlarne con Obaid. Obaid conosceva quel luogo, in gioventù e nei suoi anni adulti aveva percorso tutte le strade nella pianura ed era stato diverse volte in quella valle. Ci disse che queste montagne e le aree che le circondano portano con sé molte storie; alcune di queste sono andate perdute e molte non sono mai state raccontate, come la storia di questi sassi. Anche dopo l’avvento dell’Islam, le persone che sapevano leggere o scrivere furono estremamente rare quaggiù, la cultura era fiorente ma soprattutto nella sua forma parlata e raccontata.
Brien ci disse che nel tempo si era fatto molte teorie su queste pietre, alcune mistiche altre più prosaiche. Una aveva a che fare con i jinn, gli spiriti del deserto. Quasi tutti i popoli che vivono nella penisola credono all’esistenza dei jinn, si dice per esempio che a un uomo che viaggi solo nel deserto possa capitare spesso di sentire dei passi e il suono di una pietra rotolata, addirittura potrebbe venire colpito da un sasso lanciato da chissà dove e guardandosi in giro non vedrà nessuno in un raggio di chilometri. I jinn e i loro poteri sono esistiti in queste terre fin da prima dell’Islam, i beduini conoscevano bene come fare per evitarne i malefici e le pile di pietre potevano magari in qualche modo essere in relazione con il loro potere. Ma nessuna delle pratiche che Brien aveva sentito faceva alcun riferimento a impilare pietre.
Un’altra teoria raccontava di mappe delle stelle sulla superficie piana del deserto. Tempo addietro si diceva che che chi aveva sovrinteso alla costruzione di quelle pile potesse essere un antico astrologo che conosceva i segreti dell’apparizione in cielo del triangolo estivo e comprendeva le regole misteriose che determinavano i movimenti del sole, dei pianeti, della luna e delle stelle. Per gli antichi Arabi era particolarmente importante saper riconoscere per tempo l’arrivo della calura feroce dell’estate oppure quando al suo termine iniziava la stagione delle piogge e delle inondazioni. Questi cumuli di pietre potevano essere stati un’immensa mappa del cielo stellato, riprodotta nei suo particolari sulla terra del deserto, disegnata accuratamente ricalcandola su quelle luci che guidavano i cammini degli antenati nelle notti ancestrali. Punti di riferimento di sentieri remoti, costellazioni riprodotte da mani umane su una gigantesca carta geografica fatta di terra e sassi delle pianure desertiche. Una mappa immensa che segnava il passare dei giorni, delle notti, delle settimane, dei mesi, degli anni e delle stagioni. Quelle pietre potevano essere state informazioni preziosissime, quasi sacre, che tramandavano conoscenze da una generazione a quella successive.
La terza teoria parlava di antichi alberi sacri. Vicino a Khutwah c’era un cespuglio spinoso e secco, alto più o meno quanto un uomo, i suoi rami erano ricoperti di stracci scoloriti dal sole. Attorno allo stelo stavano ammonticchiate molte pietre di ogni genere, piccole e grandi e altre pietre ancora erano sui suoi rami. Questo albero era uno Zarur, un altare del deserto. I beduini consideravamo certi cespugli o certi alberi come dimore di angeli e demoni e fare loro del male, tagliarne i rami per bruciarli, era considerato molto pericoloso. Quando una donna pregava per avere un figlio, un contadino per la pioggia o per la salute del suo asino e del suo cammello, prendeva una pietra e la depositava ai piedi dello Zarur o la incastrava tra i suoi rami. Lo Zarur di Khutwah si dice curasse la febbre. Fin dai tempi antichi, cerchi di pietre venivano accumulati attorno alla base di piante o cespugli per proteggerli, nel deserto si possono trovare mucchietti di pietre dove un tempo ci fu un albero, sono pratiche che risalgono ai tempi degli Arabi pagani e sono state poi integrate nei culti religiosi Musulmani. Numerose storie sono state create per convincere anche i più scettici, gli alberi sacri erano coperti di ogni tipo di oggetti e di ornamenti, a loro si sacrificavano pecore e agnelli e li si irrigava col sangue, poi la carne veniva cucinata e distribuita tra i presenti e una porzione era lasciata appesa a un suo ramo. Ma quello che rimaneva di questi Zarur erano per lo più ammassi di pietre isolate, mentre noi ne avevamo trovati a centinaia che ricoprivano un largo tratto di pianura.
Ricordo che quella notte ascoltavo Brien attentamente e intanto ci osservavo alla luce mobile del fuoco, come moderni beduini seduti su mucchietti di pietre elevati a mo’ di sgabelli, in vena di raccontarsi storie nelle notti stellate del deserto. Per quanto si potesse rimanere scettici riguardo ai loro significati, non si poteva non ammettere che la disposizione e la numerosità di quelle pietre era troppo eccezionale per non avere qualche significato.
Entrambi i luoghi delle pietre si trovavano nelle vicinanze di antiche tombe, entrambi si trovavamo su importanti vie di comunicazione. Le pietre di Jebel Hafeet erano visibili dalla pista che corre da nord a sud sulle pendici dei monti Hajar e che va da Nizwa a Hatta attraversando il corridoio del Wadi Jizzi. Quelle tra Showkah e Khadrah stavano in una delle grandi porte d’accesso per le carovane che provenienti dal deserto si apprestavano ad attraversare le montagne attraverso Wadi Hilo, che poteva essere raggiunto da lì con un solo breve attraversamento in cresta. Showkah si trova al limitare orientale di quella che probabilmente è una delle piane più estese di tutta la penisola che corre da Madam a Manama tra le montagne e i limiti occidentali delle dune della costa, molti antichi siti si trovavano in questa zona.
Il culto delle pile di pietre e sassi è antichissimo e non rappresenta semplicemente un atto di idolatria ma piuttosto un rito più profondo e simbolico di trascendenza, di espulsione del male. La persona, prendendo una pietra in luoghi sacri, fa sì che il peccato, il male, la fatica, la sofferenza che lo affligge passi nella pietra stessa, che lo assorbe. L’accumulazione di queste pietre espiatorie ha fatto crescere pile sacre lungo le strade dei pellegrini; costruire dei mucchi di pietre è stato un uso comune tra i Musulmani e aggiungere una pietra era un gesto comune del pellegrinaggio, i riti stessi dell hadjdj ne preservano ancora oggi alcune memorie. Quando arrivavano nelle vicinanze di un luogo sacro, gli Arabi pre-Islamici costruivano pile di pietre o semplicemente aggiungevano una pietra a una pila già esistente; lungo le piste dei pellegrini si potevano incontrare lunghe serie di mucchi di sassi oppure pietre o pezzetti di legno posati sopra gli alberi e le rocce. Ogni volta che qualcuno passava, aggiungeva una pietra, un legnetto o un ciuffo d’erba come tributo agli spiriti, una precauzione per assicurarsi il ritorno sani e salvi a casa quella sera.