Ma sotto quel dipinto di genere ne sarebbe nascosto un altro, ben più importante... nientemeno che un ritratto femminile di Raffaello. Però quel quadro, afferma Argyll, è sparito. In realtà, esso risulta regolarmente venduto per pochi soldi dal parroco a un mercante inglese che, dopo aver comunicato al mondo l'esistenza di un Raffaello sotto il Mantini, lo mette all'asta a Londra.
Il governo italiano, battendo la concorrenza dei più ricchi collezionisti, riesce ad acquistarlo ad un prezzo altissimo. La sera della presentazione alla stampa, tuttavia il presunto capolavoro viene distrutto in un incendio. Una tragica fatalità oppure dietro quelle fiamme si nasconde qualcosa di losco?
E' quanto sospetta Taddeo Bottardi, capo del nucleo investigativo di polizia per la tutela del patrimonio artistico, alle prese con il caso più clamoroso e delicato della sua onorata carriera. L'intraprendente collaboratrice Flavia Di Stefano e lo svagato ma acuto Argyll, che gli danno una mano, si trovano coinvolti in un labirinto d'intrighi dove amore per l'arte, rivalità politiche e interessi finanziari si mescolano in un groviglio di sospetti, invidie e gelosie spinti all'estremo. Ma non sanno che la strada per giungere alla verità è lastricata di trappole così insidiose da mettere in pericolo la loro stessa vita...
Teso, emozionante, scritto con straordinaria perizia, Il caso Raffaello rivela nell'autore un maestro della suspence raffinata, pienamente padrone dei congegni narrativi che fanno di un buon thriller un autentico giallo d'autore, nel quale egli mette di suo, oltre a un notevole talento da scrittore, la finezza d'osservazione e l'ironia che ne hanno consacrato il successo presso il pubblico e la critica.
Stanno già riscuotendo un buon successo internazionale i gialli di Iain Pears, che ora appaiono anche in Italia, pubblicati da Longanesi. Questo è il primo di una serie che vede protagonista il comandante di un reparto di polizia che si occupa del patrimonio artistico a Roma: Taddeo Bottardi. Non poteva non sbarcare sulle nostre coste questo indagatore dell'arte così "nostrano", dipendente dal caffè come da una droga e con quel tanto di difetti, ben distribuiti, tipicamente italiani. Lo troviamo immediatamente alle prese con un caso interessante: un giovane inglese di ventotto anni, di nome Jonathan Argyll, viene arrestato mentre sta cercando di entrare nella chiesa di Santa Barbara, nel centro di Roma. Per giustificarsi il giovane afferma di aver tentato di vedere l'opera di Raffaello collocata sopra l'altare maggiore. Sin qui nulla di straordinario, se non fosse per il fatto che sull'altare maggiore della chiesa è collocato un quadro di Carlo Mantini (Riposo dopo la fuga in Egitto) che nulla ha a che vedere, apparentemente, con Raffaello.
Ma Argyll asserisce che sotto il dipinto di Mantini si cela sicuramente un'opera del grande pittore del Rinascimento, solo che... l'opera è scomparsa. La curiosità di Bottardi è solleticata da questa storia. Argyll sembra dire la verità. L'indagine parte con una visita alla chiesa di Santa Barbara per fare qualche domanda al parroco. Il dipinto è stato trafugato? No, è stato venduto, per dieci milioni, a un collezionista. Dieci milioni utili per il programma di recupero dei tossicodipendenti. Del resto la cifra era già superiore al vero valore dell'opera... In realtà il parroco si sbaglia: il dipinto di Mantini, acquistato da un antiquario inglese, si dimostra essere davvero la copertura per un capolavoro di Raffaello (Ritratto di Elisabetta di Laguna,) 1505 circa, il risultato di una antica truffa, una tentata esportazione dell'originale risalente al Settecento. La base d'asta da cui partirà la vendita dopo la rivelazione sarà venti milioni di sterline, il prezzo finale sessantatré milioni e l'acquirente un alto funzionario del governo italiano. La vicenda sembrerebbe conclusa con l'assegnazione dell'opera a un museo della Penisola, ma nascono nuovi sospetti, scatenati proprio da Argyll, che, tornato in Inghilterra, ha ripreso le sue indagini storiche. Sarà autentico il dipinto?
Pears, esperto d'arte, ha individuato alcuni elementi affascinanti che possono legare questo mondo con quello del giallo, e ha sapientemente mescolato i due ingredienti, dando vita a un libro interessante oltre che avvincente, ben costruito, cui sono seguiti altri titoli che Longanesi promette di pubblicare presto: Il comitato Tiziano, Il busto del Bernini, Il giudizio universale, La mano di Giotto e Morte e restauro, dove ritroveremo i protagonisti principali di questo romanzo. Un appunto potrebbe essere fatto sulla descrizione dell'Italia, di Roma e delle sue vie, degli italiani, delle abitudini nazionali. Un po' troppo schematico talvolta l'affresco che l'autore fa del nostro paese, e qualche frase forse risulta eccessiva: "ormai, in nessuna città italiana c'era un museo che potesse stare alla pari con le gallerie nazionali di Londra e Washington, o con il Louvre di Parigi"; "qualche potente manovra era stata messa in atto in quel labirintico e oscuro coacervo d'intrighi che era il governo italiano"; "era una di quelle mattinate primaverili romane che trasformavano la città, nonostante gli ingorghi del traffico, il rumore e la dilagante sporcizia..."; "in realtà avrebbe dovuto mostrare la tessera ... ma è raro che i portinai a Roma, si preoccupino di dettagli tanto trascurabili", e così via. Perché certi luoghi comuni non muoiono mai? Vi ricordate come descrisse il medesimo ambiente artistico romano Federico Zeri in collaborazione con Carmen Iarrera, nel suo giallo intitolato Mai con i quadri? È vero che Zeri era nato nella capitale, dove aveva sempre vissuto, e che conosceva questo mondo perfettamente, ma allora perché non ambientare la storia de Il Caso Raffaello, per altro molto originale e appassionante, in un altro contesto?
Poco prima che le campane di Sant'Ignazio suonassero le sette del mattino, il generale Taddeo Bottardi si accinse a salire le solite scale costellate di opere d'arte, tutta refurtiva recuperata. Era arrivato nella piazza già da una decina di minuti, ma, rispettando una vecchia consuetudine, si era fermato nel bar di fronte all'ufficio a bere due espressi e mangiare un panino al prosciutto. Gli abituali frequentatori del locale l'avevano salutato come si conveniva a un regolare cliente dalle abitudini mattiniere: un amichevole "buongiorno", un cenno con il capo, ma nessun tentativo di scambiare quattro chiacchiere. Il primo contatto con il nuovo giorno è, a Roma come in qualsiasi altra metropoli, una faccenda privata che si sbriga meglio in un solitario silenzio.
Terminato quel piacevole rituale mattutino, il generale s'incamminò sull'acciottolato della piazza e affrontò le scale, cominciando a sbuffare e ansimare pesantemente ancor prima di aver terminato di salire la prima rampa. Non perché fosse sovrappreso, come si diceva spesso per rassicurarsi. Erano passati anni dall'ultima volta in cui era stato costretto a far allargare la divisa. Un po' corpulento, tutt'al più. D'aspetto imponente, così preferiva definirsi. Avrebbe dovuto rinunciare alle sigarette, al caffè, al cibo, e fare invece un po' di esercizio fisico. Ma in tal caso quali piaceri gli avrebbe riservato l'esistenza? Inoltre, si stava avvicinando alla sessantina e ormai era troppo tardi per cominciare a pretendere una buona forma fisica. Lo sforzo avrebbe potuto ucciderlo.
Si fermò un attimo, in parte per osservare un nuovo dipinto appeso al muro, ma soprattutto per concedersi una furtiva opportunità di riprendere fiato. Doveva trattarsi, a occhio, di un piccolo quadro di Artemisia Gentileschi. Molto bello. Era un vero peccato che dovesse essere restituito ai legittimi proprietari non appena tutto il lavoro burocratico fosse stato portato a termine, il colpevole denunciato e la documentazione inviata all'ufficio del magistrato inquirente. Ma quello era comunque uno dei piaceri derivanti dal trovarsi a capo del Nucleo investigativo per la tutela del patrimonio artistico italiano. Nelle rare occasioni in cui si riusciva a recuperare qualcosa, di solito ne valeva la pena.
Mentre aguzzava gli occhi per vedere meglio il dipinto, sentì una voce alle sue spalle: "Niente male, non le pare?" Bloccando gli ultimi ansiti di fatica, si voltò. Flavia Di Stefano era una di quelle splendide donne che, secondo Bottardi, soltanto l'Italia era capace di generare, destinate a trasformarsi in mogli e madri devote, quando non sceglievano invece di dedicarsi a un'attività lavorativa. E, in questo secondo caso, s'impegnavano talmente a fondo, per mettere a tacere i sensi di colpa indotti dal rifiuto del tradizionale ruolo femminile, da battere qualunque maschio di svariate lunghezze. Proprio per tale motivo otto dei dieci assistenti di Bottardi erano donne, il che, come lui ben sapeva, aveva indotto gli altri reparti di polizia ad affibbiare alla sua squadra uno sprezzante nomignolo.
Però, a voler dirla tutta, il "bordello di Bottardi", perché così era stato soprannominato il suo ufficio da alcuni colleghi chiaramente gelosi, mieteva successi. Diversamente da altri funzionari, di cui lui avrebbe potuto fare nomi e cognomi.
Rivolse alla ragazza un benevolo "buongiorno". Ma, più che una ragazza, era una donna, pensò, accorgendosi di essere arrivato a un'età in cui ogni creatura femminile al di sotto della trentina gli sembrava ancora una fanciulla. Provava per lei una grande simpatia, anche se Flavia pareva totalmente incapace di trattarlo con la deferenza che il suo grado, gli anni e la sua competenza avrebbero richiesto. Facendo riferimento alle sue rotondità fisiche, alle quali solo qualche amico si permetteva di alludere, con la maggior delicatezza possibile, lei lo definiva, con affetto e senza alcun imbarazzo, "vecchio baule". A parte questo, era una collaboratrice quasi perfetta.
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