Massimo rispetto per tutti e, in alcuni casi, con un accordo non scritto e nemmeno detto, si evita bellamente di parlare di politica (ma anche di fede calcistica) quando si è insieme per evitare di scaldare gli animi e rovinare l’atmosfera. In fondo si può vivere bene anche senza scannarsi per la politica, anzi si vive decisamente meglio, nel rispetto delle convinzioni di ognuno.
Per ciò quando un amico iscritto al PDL l’altro giorno mi ha chiesto se avevo intenzione di iscrivermi (nel mio caso per la prima volta) ad un partito politico e in particolare il Popolo della Libertà ho risposto che ci avrei pensato ma in cuor mio sapevo già che la risposta sarebbe stata NO.
I motivi fondamentali sono due.
Il primo perché in generale il tesseramento ad un partito politico è un segno di appartenenza che richiede impegno e coerenza a meno di voler solo contribuire con una somma simbolica e lasciar fare agli altri, cosa che evidentemente non è nelle mie corde. La tessera è un segno che richiede coraggio, che implica uscire allo scoperto più di quanto non lo si faccia adesso e dichiarare un’appartenenza esplicita e chiara ad un programma e ad un progetto.
In poche parole non mi tessero un po’ per codardia.
Il secondo motivo è meno personale e forse più interessante. Il tesseramento per il PDL scade a fine ottobre ed è segnalato, come al solito, da giganteschi cartelloni 6×3 disseminati per la città. A meno di sconvolgimenti radicali e improbabili dell’ultimo momento mi chiedo a cosa aderisce un individuo che si iscrive oggi al PDL.
Parliamo di un partito diviso e sempre più succube dello “stato di forma” del suo leader politico (del quale, cosa di non poco conto, ha omesso il nome sul simbolo) con frange interne di dissidenti e mal di pancia generali pronti a scoppiare non appena il Cavaliere si sarà messo da parte.
Io, prendetelo per una prima persona generale, dovrei iscrivermi ad un partito a scatola chiusa? In nome di un passato con luci e ombre, di un presente inglorioso o di un futuro che non si capisce come sarà?
Dovrei iscrivermi ad un partito che ha nel suo segretario Angelino Alfano un giovane di buone speranze che evoca un giorno sì e l’altro pure l’imprescindibile presenza di Berlusconi alla guida?
La risposta vien da sé.
E dire che tutto sarebbe risolvibile con un piccolo, semplice gesto che non salverebbe l’Italia ma almeno un po’ la faccia in un andazzo che di giorno in giorno pare più imbarazzante: fare qualcosa!
Non “un passo indietro” come più volte auspicato dalla sempre più sterile opposizione o da fuoco amico ma un passo “in un’altra direzione”, qualsiasi purché si esca dal fermo attuale.
Basterebbe lasciare campo libero ad Alfano in via ufficiale annunciando una non-candidatura alle prossime elezioni o dando il via libera ad una legge elettorale che riporti il potere di scegliere i propri rappresentanti ai cittadini o ancora rimescolando l’attuale compagine governativa per dare vita ad un governo che faccia poche cose importanti e traghetti il paese a nuove elezioni.
Basterebbe per un giorno, forse basterebbe anche solo un’ora, tornare il Berlusconi del 1994 e gettare un masso in questo stagno paludoso che emana vapori mefitici.
Il famoso colpo di coda, per pareggiare ai supplementari e giocarsela almeno ai rigori.
Ma perché non lo fa? Perché il Cavaliere non compie un coraggioso guizzo finale?
La risposta forse è più semplice di qualsiasi giro di parole e in questi giorni, chiara e tonda, l’ho sentita solo per bocca del lucidissimo giornalista Antonio Polito, ex direttore de Il Riformista e ora forse il migliore editorialista politico del Corriere della Sera: “perché è vecchio, stanco, non ne ha voglia. Le cose prima o poi finiscono per tutti, anche Berlusconi invecchia”.
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