Dopo la doppia digressione, con Nightmare Detective e Nightmare Detective II, in un horror più convenzionale ma pur sempre contraddistinto dalla sua cifra autoriale, Tsukamoto riparte dalle sue origini girando – a vent’anni di distanza! - il tanto agognato terzo capitolo (se ne parlava da oltre un decennio) della serie che lo ha reso famoso, Tetsuo. Il primo capitolo del 1989 ha rappresentato uno spartiacque nella visione del cyberpunk moderno, portando con sè uno sguardo innovativo e iconoclasta che ha influenzato i decenni a venire. In Tetsuo la carne viene lacerata, squarciata, l’uomo si trasforma in mutante, il suo corpo diventa un ammasso di metallo organico, una rappresentazione di una umanità che ha perso se stessa, alienata e schiacciata dalla Metropoli. Il tutto girato con uno stile registico che rompe qualsiasi schema, un cinema fatto di sole immagini, frenetiche e feroci, fino a diventare destabilizzanti (l’ormai celeberrima scena del pene-trivella). Tsukamoto combina soggettive, accelerazioni, animazioni in step-one in un tour de force per cuore e stomaco dello spettatore che viene condotto fino alla distruzione del mondo.
Nel 1992 esce Tetsuo II – Body Hammer, girato con un budget superiore, nel quale imbastisce una trama più lineare cercando di dare motivazioni a quella rabbia che trasforma l’uomo in metallo, pur mantenendo una certa continuità stilistica con il predecessore (ma girato a colori). Inutile dire quanto fosse atteso da chi scrive e non solo questo The Bullet Man, anche se le grandi aspettative celavano dei dubbi . Sarebbe riuscito Tsukamoto ad aggiornare il suo uomo di metallo a vent’anni di distanza? La decisione di girarlo in inglese con protagonista americano voleva dire concedersi ad un pubblico internazionale con tutte le conseguenze del caso?
Da questo punto di vista The Bullet Man è sicuramente più vicino al secondo capitolo, la rabbia e la conseguente trasformazione in metallo sono originate dalla morte (lì era il rapimento) del figlio e provocate da un’organizzazione che ne vorrebbe sfruttare le capacità sovraumane, così come tornano gli sono oscuri segreti risalenti all’infanzia rimossa del protagonista. Maggiore cura è invece riservata ai rapporti di quest’ultimo col padre e con la moglie; un approfondimento che conferisce maggiore spessore umano ad un personaggio col quale è possibile empatizzare, quando invece nei due capitoli precedenti questo sembrava fungere più da simbolo spersonalizzato e universale del salariman . Tsukamoto si regala ancora una volta il ruolo dello Yatsu, colui che ha il compito di “risvegliare” il protagonista e farne venire fuori la vera natura, in un (ormai logoro?) gioco metacinematografico sul ruolo del regista nei confronti dello spettatore. Così come appare abbastanza stanca la riproposizione dei suoi temi classici che purtroppo non vengono rielaborati, ma riproposti in maniera molto simile, soprattutto se paragonati al secondo capitolo (finale compreso) uscendone forse addirittura impoveriti dall’eccessiva verbosità della pellicola, con una sceneggiatura che si preoccupa troppo di spiegare, un difetto che mai aveva colpito Tsukamoto, il quale finisce col mettere fin troppa carne sul fuoco tra oscuri esperimenti sugli uomini, androidi, sicari e enti governativi.
EDA