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- Categoria principale: Festival
- Categoria: Torino Film Festival 2014
- Pubblicato: 25 Novembre 2014
Scritto da Michele Chighizola
Vedova del marito morto in un incidente stradale, Amelia (Essie Davis) si deve occupare da sola di Samuel (Noah Wiseman), figlio problematico con pulsioni violente e il terrore del buio. Una sera, invece del consueto libro di favole, Amelia legge al figlioletto un misterioso libro trovato sullo scaffale: si tratta di Babadook, storia di un uomo nero che penetra lentamente nella casa (e poi nella mente) delle persone, fino a condizionarle e portandole a compiere gesti terribili. Chiaramente, è quanto accadrà ad Amelia e Samuel.
Presentato in concorso al Torino Film Festival e atteso con impazienza da molti cultori dell’horror (il nome del film circolava da tempo nella stampa di settore, quasi che si trattasse del titolo destinato a risollevare le sorti del genere), è un interessante quanto in parte deludente horror “d’autore”, tra incubo psicologico e favola simbolica. Se nella prima parte, infatti, il film dell’esordiente Jennifer Kent stupisce e colpisce per l’atmosfera quasi burtoniana, tra il dark e il camp, con piccole dosi d’ironia e una forte caratterizzazione grottesca dei personaggi principali e di contorno (perfetta la protagonista Davis, madre amorevole ma con l’espressione “da Xanax” a nascondere più d’un lato oscuro; ma anche il piccolo Wiseman è davvero inquietante nei suoi attacchi isterici), The Babadook purtroppo si sfalda mana mano che la storia si tuffa nel paranormale. Appesantito dall’imponente sovrastruttura simbolica che la Kent cerca in ogni modo di cucire addosso al film (il Babadook altro non sarebbe che il male che alberga dentro la protagonista da quando perse il marito e con cui essa non aveva, a torto, mai fatto i conti) e caratterizzato da una parte centrale in cui la sceneggiatura si incaglia, non facendo progredire il racconto per diverse decine di minuti (ad ulteriore dimostrazione della difficoltà di trasformare i cortometraggi in film lunghi), il film perde ogni verve nel finale, istituzionalizzandosi sul canone del più classico horror di possessione demoniaca. Forse danneggiato dalla troppa attesa che lo circondava, The Babadook si conferma, in ogni caso una discreta opera prima, tuttavia di gran lunga inferiore al cortometraggio da cui è tratto (Monster, sempre di Jennifer Kent, rintracciabile su Vimeo).
Voto: 2/4
Scritto da Michele Chighizola
Germania. Un'irruzione finita male nella casa di uno spacciatore porta a incrociarsi due storie: quella, per l’appunto, dei burberi e violenti poliziotti che devono rimediare alla mancata cattura del criminale e quella di due gang di giovani teppisti che se le suonano quotidianamente. La tragedia è in agguato.
Ruvido e solido poliziesco corale con venature tragiche, parente più o meno stretto di 36 di Olivier Marchal e il Friedkin degli anni ’80 che ha tuttavia fatto tesoro degli insegnamenti di The Pusher di Nicholas Winding Refn, la seconda opera del tedesco Philipp Leinemann è tra le migliori cose viste, in concorso, a questo Torino Film Festival. Caratterizzato da un ritmo travolgente e una regia monumentale (la sequenza iniziale dell’irruzione è da antologia), Wir Waren Konige – The Kings Surrender si trasforma, col passare dei minuti, in un geometrico gioco di specchi tra poliziotti e criminali, sostanzialmente indistinguibili nel modo di lavorare, agire e pensare, perché, come dirà uno dei tanti personaggi, ”l’unica differenza tra noi (poliziotti) e loro è che noi possiamo fare quello che facciamo e loro no”. A conferire ancora maggior fascino all’opera, inoltre, ci pensa le figura del piccolo ragazzino teppista che manipola involontariamente tutti gli eventi, facendoli correre a tutta velocità verso la tragedia e svuotando ancora più di senso e morale la lotta tra polizia e criminalità. Benché leggermente ingolfato da una sovrabbondanza di sub-plots che rivela la provenienza del regista dalla serialità televisiva (ha diretto molte serie poliziesche sullo Sky tedesco), The Kings Surrender si colloca prepotentemente tra i più robusti e coerenti film del festival.
Voto: 3/4
Scritto da Valeria Morini
Come sarebbe Alba di gloria di John Ford girato da Terrence Malick? La risposta è in The Better Angels, esordio di A. J. Edwards, che con Malick (qui produttore) collabora come aiuto regista e co-montatore dai tempi di The New World. Dopo il passaggio al Sundance Film Festival e alla Berlinale, sbarca alla sezione Festa mobile del 32esimo TFF il film che esplora la figura di Abraham Lincoln raccontandone l’infanzia poverissima vissuta tra i boschi dell’Indiana (laddove il capolavoro di Ford guardava alla giovinezza prima della fase politica). Rifacendosi alle testimonianze del cugino Dennis Hanks (voce narrante per tutto il film), vengono ricostruiti il rapporto con i genitori e la sorella, la tragica morte della madre, l’arrivo della matrigna. Tenendosi ben lontano dal pamphlet storico, Edwards cala la ricerca delle origini del pensiero lincolniano in una dimensione antinarrativa e trascendentale. Il problema è che, fatta eccezione per la scelta di un bianconero stilizzato, l’autore sembra filmare la copia conforme di The Tree of Life, riproducendone pedissequamente stilemi ed estetica: dal costante flusso della voce fuori campo all’utilizzo di continui movimenti di macchina e prospettive dal basso, dal poema sinfonico della potente soundtrack alla visione contemplativa della natura. Persino la figura del padre severo e autoritario del giovanissimo Abe (interpretato da Jason Clarke) sembra ricalcare quella di Brad Pitt nel film di Malick, mentre la genitrice-personificazione della Grazia che là aveva il volto di Jessica Chastain si sdoppia qui nelle personalità della madre Brit Marling e della matrigna Diane Kruger, entrambe figure amorevoli che segneranno profondamente il protagonista. Certo, il film regala inquadrature suggestive e momenti di alto lirismo, ma tutto ciò non basta: ci ha già pensato Malick a fare del manierismo di se stesso (con To the Wonder) ed Edwards dovrebbe provare a inseguire uno stile davvero suo, anziché ricalcare in modo così esplicito quello del Maestro.
Voto: 2/4