In quest’ottica il protagonista di “A simple goodbye”, ex-regista malato di cancro ai polmoni, si muove tra disillusione personale e non-detti con chi lo circonda – una ex moglie isterica, una figlia confusa sul proprio presente e sul proprio futuro, una sorella ossessivamente superstiziosa e una madre fin troppo accondiscendente – ritrovandosi ad essere l’unico – o perlomeno il primo – ad aver accettato (e qui l’accettazione equivale al superamento cui facevamo cenno sopra) la propria fine.
Con una camera quasi sempre fissa sui totali, come a ritrarre le situazioni in cui il personaggio principale si ritrova e dalle quali vorrebbe sempre di più distaccarsi, la regia riesce a restituire pienamente l’elaborazione anticipata del lutto cui tutti i caratteri in scena – altissimo il livello della recitazione – sono costretti. Si tratterebbe di un’opera pressoché perfetta se non fosse per l’epilogo che, fungendo da memoriale della regista in ricordo del padre, tradisce in parte le premesse che rendono comunque “A simple goodbye” un prodotto di altissimo livello.Antonio Romagnoli